In Sicilia per dire no basta schioccare la lingua e alzare la testa. Da dove viene questa negazione inequivocabile (per chi la conosce), condivisa anche con altre parti d'Italia? Per scoprirne l'origine, bisognerà tornare indietro nel tempo fino all'antica Grecia.
“Lei sostiene di non aver rubato la vacca. Ha visto chi è stato?”. “Ntz!”, è l’unica risposta, accompagnata da una leggera alzata del capo. “Ma che fa, mi dà un bacio? Guardi che la sbatto in galera! Ha visto chi è stato? Sì o no?”. “Ntz, ntz!”. Questo comico scambio di battute, tratto dal film In guerra per amore, si svolge tra l’esasperato tenente italo-americano Philip Catelli e un imperturbabile siciliano di Crisafullo, il paese immaginario in cui è ambientata la pellicola. A dirimere l’incomprensione e a fare da traduttore ci pensa il regista palermitano Pif, che oltre a dirigere il film ne interpreta il protagonista, Arturo Giammarresi: “Guardi, signor tenente, che ha risposto. In siciliano ‘ntz’ significa… no”. E chi non lo sa rischia di fraintendere. O peggio, di sentirsi preso in giro.
Pronunciato una o due volte e sollevando leggermente il mento, “ntz” o “ntzù” è una delle interiezioni siciliane più popolari e radicate, tanto che può capitare di usarla in maniera inconsapevole anche con chi vive fuori dall’Isola. Il suono, e il conseguente movimento della testa, in realtà, sono tipici di tutta l’area linguistica meridionale estrema, che coinvolge anche buona parte della Calabria e il Salento, in Puglia. Da qui, inoltre, si è allargato al resto del Sud Italia, ma è diventato suono noto, anche se diatopicamente connotato, anche al Nord, grazie a televisione, social e immigrazione. Ma in cosa consiste, di preciso, questa peculiare interiezione di diniego? E quali sono le sue origini? Come vedremo, per scoprirlo bisognerà fare un salto nel tempo fino ai greci.
Dal punto di vista linguistico, “ntz” è un fonema avulsivo dentale, prodotto facendo schioccare la lingua sul palato una o più volte nel caso si voglia rafforzare l’intenzione di diniego. A testimonianza della sua diffusione anche al di fuori dall’Isola, i popolari Youtuber di Casa Surace hanno pubblicato un video nella rubrica “Il vocabolario del Sud“, in cui ne spiegano, a modo loro, il significato. “Uno ti fa una domanda, che so, ‘lo vuoi il caffè?’ – spiega il pugliese all’amico “polentone” –. Tu proprio non c’hai considerazione di quella persona, non c’hai voglia di rispondere, che cosa rispondi? Ntz!”.
Senza video, ma con più basi scientifiche alle spalle, anche gli studiosi Alberto Sobrero e Annarita Maglietta, in Introduzione alla linguistica italiana (Laterza, Bari, 2001, p. 204) affermano che si tratta di una “vigorosa negazione” utilizzata in gran parte dell’Italia meridionale e accompagnata da una spinta della testa all’indietro, definita come head-toss.
“L’head-toss, di area latamente mediterranea – si legge nel manuale di Sobrero e Maglietta – caratterizza l’Italia meridionale, e la oppone a quella centro-settentrionale, nella quale invece – come nella maggior parte dell’Europa del Nord – per significare “no” la testa viene scossa da destra verso sinistra e viceversa. Si noti che nel contatto fra i due sistemi gestuali nascono spesso equivoci, perché al Nord – ma ormai anche nello standard – un gesto molto simile all’head-toss (movimento verticale della testa dall’alto al basso e poi dal basso all’alto) non significa “no” ma “sì”, e dunque una negazione di area meridionale estrema può essere scambiata per un’affermazione al Nord”.
Insomma, il “no” meridionale rischia di essere confuso, in certi casi, per un sì. A rendere inequivocabile il regionalismo gestuale dello “ntz”, però, ci pensa l’imprescindibile schiocco della lingua, che con il suo suono secco e veloce tronca sul nascere qualsiasi ulteriore obiezione.
Come si diceva in apertura, non è casuale che l’head-toss si sia diffuso soprattutto tra Sicilia, Calabria e Salento, per poi estendersi a buona parte del Sud Italia. Quest’area, spiegano ancora Sobrero e Maglietta, “linguisticamente è caratterizzata dal sostrato greco e dalla presenza di numerose antichissime colonie in cui si parlano ancora oggi dialetti di tipo greco”.
In Grecia e nell’isola di Cipro, infatti, annuire verso l’alto ha proprio il significato di interiezione negativa. Questo gesto non verbale di area ellenica si differenzia in parte da quello siciliano, in quanto accompagnato da un simultaneo innalzamento delle sopracciglia e, più comunemente, anche da un leggero rollio degli occhi. Tuttavia, in caso di maggiore enfasi il gesto greco è accompagnato da un suono onompatoeico chiamato τσου (traslitterato: ‘tsou’). Ricorda qualcosa?
La parentela tra Grecia e Italia meridionale, del resto, non è certo cosa nuova. Dal punto di vista storico, i greci iniziarono i loro stanziamenti nel Sud Italia già nell’VIII secolo a.C., nell’isola allora nota come Pithecusa, oggi Ischia, in Campania. La diffusione, poi, proseguì con le colonie vere e proprie, come Cuma, Taranto (una delle poche colonie “spartane”) e quelle di Sicilia, da Naxos a Katane e Syrakousai.
Furono proprio le zone della Calabria, della Sicilia orientale e della Puglia meridionale quelle in cui si conservò maggiormente l’influsso greco, grazie anche alla maggiore prossimità con la “madre patria” e, nei secoli successivi, agli apporti bizantini. Ancora oggi, infatti, esistono aree ellenofone nel Sud Italia, tutelate come minoranze linguistiche e localizzate in alcune aree del Messinese, nella Bovesia in Calabria e nella cosiddetta Grecìa salentina in Puglia. Non sorprende, quindi, che proprio da qui oltre 2000 anni fa si diffondesse il “no greco”, vivo e utilizzato quotidianamente ancora oggi.
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