Si avvicina il referendum sul taglio dei parlamentari. Quali sono le ragioni del sì e quelle del no? Un confronto tra le due argomentazioni con le info essenziali sul voto.
Domenica 20 e lunedì 21 settembre l’Italia sarà chiamata a esprimersi sul referendum costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari di Camera e Senato. I deputati, in caso di vittoria del sì, passeranno dagli attuali 640 a 400; i senatori, invece, da 315 a 200. Sono gli ultimi giorni di un dibattito politico surreale, interrotto ogni giorno dai bollettini sull’andamento della pandemia in Italia e dalle notizie sulla crescita dei casi nel resto del mondo. In questo clima teso e quanto mai incerto, ripercorriamo le ragioni del sì e del no al referendum che potrebbe modificare la Costituzione alla base della nostra democrazia.
Prima di procedere alle varie argomentazioni portate dall’una e dall’altra parte, sarà meglio dare qualche informazione indispensabile sul voto. Le votazioni si terranno in due giornate, in concomitanza con le amministrative regionali e comunali in varie parti d’Italia. Le urne saranno aperte dalle 7 alle 23 di domenica e dalle 7 alle 15 di lunedì; sono chiamati al voto 51.559.898 cittadini.
Trattandosi di un referendum confermativo, la votazione prescinde dal quorum. Non sarà quindi necessario raggiungere il 50% più uno degli aventi diritto al voto per considerare valido il referendum, ma si procederà al conteggio dei voti validi a prescindere dall’affluenza alle urne. L’ultimo sondaggio disponbile, datato 4 settembre, dava il sì in netto vantaggio sul no, con percentuali comprese tra il 68 e il 72% degli italiani favorevoli al taglio. Il quesito è unico e il testo recita quanto segue.
Con la vittoria del sì, vengono quindi modificati gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, con una riduzione di circa un terzo delle due camere (per l’esattezza, del 36,5%). Rapportato alla popolazione, vorrebbe dire che si passerebbe da un deputato ogni 96 mila abitanti a uno ogni 151 mila. Il numero dei senatori, invece, passerebbe da uno ogni 188 mila abitanti a uno ogni 302 mila.
Uno degli argomenti del sì, è che i deputati in Italia sarebbero “troppi” rispetto al resto d’Europa. In un confronto realizzato tra le camere “basse” dall’ufficio studi di Montecitorio, in effetti, l’Italia ha uno dei numeri più alti di deputati in Europa (640), seguita solo da Regno Unito (650) e Germania (709). Stati, però, con una popolazione superiore a quella italiana. Diverso il discorso per le camere “alte”, come il Senato. Qui, si legge nel dossier pubblicato da Montecitorio, “non appare pertanto possibile procedere ad un raffronto analogo a quello svolto per le Camere ‘basse’ in quanto in gran parte dei casi i componenti delle Camere ‘alte’ non sono eletti direttamente dai cittadini e rappresentano istanze di altro tipo (ad esempio, espressione di istanze territoriali, oppure sono nominati su proposta del Governo o con elezioni di secondo grado, ecc.)”.
Malgrado il numero alto di deputati, al momento, come si evince dallo stesso studio pubblicato tra i documenti della Camera, il rapporto di deputati in Italia rispetto alla popolazione è dell’1%, in linea con Germania (0,9%), Francia (0,9%) e Regno Unito (1%). Con l’approvazione della riforma costituzionale, invece, la percentuale di deputati per numero di abitanti in Italia si ridurrebbe allo 0,7%, la più bassa in Europa. Si tratta di un fattore negativo per il fronte del No, che sostiene che tagliando in modo netto deputati e senatori si genererebbe una perdita di rappresentatività. Si intende, con questo termine, la capacità del parlamento di rappresentare il volere dei cittadini al momento del voto. Ne va da sé, quindi, che più è basso il rapporto tra elettori ed eletti e più è bassa la sua rappresentatività. In altre parole: il voto dei cittadini “peserebbe” meno nell’elezione del singolo parlamentare.
“È una riforma che ci farà risparmiare 300mila euro al giorno”, scrive sul suo profilo Facebook il leader politico del M5S Luigi Di Maio a meno di una settimana dal voto. I 5 Stelle hanno fatto del taglio dei parlamentari una delle bandiere del loro movimento, insistendo in particolare sul tema del risparmio per gli italiani. Il taglio, infatti, colpirà 315 stipendi tra senatori e deputati, con buste paga variabili dai 20-21 mila mensili circa dei primi ai poco più di 19 mila per i secondi. Al riguardo del risparmio prodotto, l’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli ha fatto notare che, calcolando il risparmio sullo stipendio netto, si risparmierebbero circa 37 milioni alla Camera e altri 27 milioni al Senato, vale a dire meno di 285 milioni a legislatura. Numero diversi per i sostenitori del sì, che affermano che il risparmio garantito sarebbe di 500 milioni in cinque anni.
Su questo tema, la risposta del fronte del no varia nei toni ma non nei contenuti. Si va dai più pacati, che si chiedono come mai allora non si sia intervenuti prima sugli stipendi al posto di incidere sulla rappresentanza degli italiani alle camere (in questo caso, però, la modifica dovrebbe avvenire tramite una legge ad hoc, e non con un referendu), a quelli, più ironici, che affermano di non voler sacrificare la rappresentanza degli italiani per risparmiare una tazzina di caffè all’anno (il totale del risparmio diviso il numero di abitanti). Infine, molti nel dibattito politico bollano come demagogica la riforma, dichiarando, in sostanza, che il gioco non vale la candela e che il risparmio garantito non può giustificare un intaccamento della Costituzione.
Un terzo argomento, stavolta contro la riduzione del numero dei parlamentari, sarebbe che le regioni meridionali perderebbero maggiore rappresentanza in Camera e Senato a favore delle regioni del Nord, generando uno squilibrio che avvantaggerebbe i territori più popolosi. È quanto ha sostenuto, per esempio, il deputato di Forza Italia Renato Brunetta in data 28 agosto, in un editoriale sulla testata online Quotidiano del Sud.
L’affermazione, tuttavia, è stata in seguito verificata dalla testata Pagella Politica, specializzata in fact-checking. I risultati dell’analisi, basati sui dati contenuti nel dossier dei servizi studi di Camera e Senato sulla riforma costituzionale, dimostrano però che alla Camera non ci sono modifiche superiori allo 0,2%. Discorso diverso per i Senatori, dove in effetti la riforma produce un vantaggio del +1,1% per le regioni settentrionali, mentre Centro e Sud perdono rispettivamente lo 0,4% e lo 0,8%. Il cambiamento, dunque, non sarebbe così rilevante, almeno su questo fronte.
Un ultimo argomento a favore del Sì riguarda la maggiore efficienza che avrebbero Camera dei deputati e Senato con un numero minore di membri. In particolare, i favorevoli al taglio dei parlamentari ritengono che in questo modo ogni eletto sarà “molto più visibile e di conseguenza più responsabile e più controllabile”, come dichiarato in data 21 agosto su Facebook dalla deputata del M5S Vittoria Baldino.
D’altro canto, i sostenitori del No affermano che la riduzione dei parlamentari non influenzerebbe l’efficienza dei lavori parlamentari, in quanto rimarrebbe inalterato il bicameralismo perfetto attualmente in vigore, con due Camere che svolgono le stesse funzioni. Per incidere davvero sull’efficienza, dunque, sarebbe necessario modificare i regolamenti dei parlamentari, vale a dire gli atti che disciplinano il funzionamento e l’organizzazione delle due Camere,
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