Boris Giuliano fu il capo della Squadra Mobile di Palermo, rappresentando una figura chiave per la lotta alla criminalità organizzata nella Sicilia degli anni Settanta: ecco la sua storia raccontata nel giorno del suo omicidio per mano della mafia.
Le persone che hanno combattuto la mafia sono state numerose e di certo valorose per il loro impegno. Sono purtroppo molte, troppe le vittime della criminalità organizzata e molto spesso si è trattato di gente innocente o di persone che semplicemente svolgevano il loro dovere. Uno di questi è sicuramente Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo che fu ucciso il 21 luglio 1979 per mano dei Corleonesi. Ecco la storia del coraggioso poliziotto, raccontata in occasione dell’anniversario del suo omicidio.
Giuliano fu un siciliano a tutto tondo, che ebbe modo di vivere in diverse città dell’Isola e apprezzarne le differenze. Egli infatti nacque a Piazza Armerina, in provincia di Enna e, dopo una breve parentesi in Libia dove il padre lavorava, rientrò in Sicilia per vivere e studiare a Messina. Nella stessa città Boris si laureò in Giurisprudenza, prima di trasferirsi a Milano per un breve periodo. Tuttavia, la sua esperienza siciliana era destinata a continuare: nel 1962 vinse il concorso come Commissario di Polizia e l’anno successivo chiese di essere assegnato alla città di Palermo, dove prese servizio nella Squadra Mobile della città, del quale fu dirigente dal 1976 fino alla morte.
Tra le varie indagini che Giuliano condusse, diverse erano legate alla mafia siciliana, molto attiva a Palermo e provincia nel periodo di attività del capo della Squadra Mobile. Durante le sue investigazioni, gli tornarono utili anche le amicizie strette grazie alla sua partecipazione alla National Academy dell’FBI, nella quale si specializzò rappresentando un primato: si trattò infatti del primo poliziotto italiano che avesse mai fatto parte del gruppo. Di grande rilievo furono anche le sue indagini sulla sparizione del giornalista Mauro De Mauro, per le quali vennero coinvolti i migliori esponenti del settore investigativo di quegli anni, e dunque anche il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Tra le ultime indagini del vice-questore aggiunto di Palermo, ve ne fu una legata agli affari dei Corleonesi. Infatti, nel 1979 furono ritrovate all’aeroporto di Palermo due valigette con all’interno 500mila dollari e dalle indagini si scoprì che si trattava del pagamento di una certa quantità di eroina che fu poi sequestrata all’aeroporto J.F.K. di New York. Con il proseguire delle indagini, la squadra di Giuliano riuscì a individuare uno dei covi della mafia con tanto di armi e droga all’interno, e una foto di Leoluca Bagarella su una patente falsa. Dopo quell’evento, la Questura di Palermo ricevette numerose telefonate anonime nelle quali si minacciava di morte Giuliano, il quale decise di mettere in salvo la sua famiglia facendola trasferire a Enna.
Proprio Bagarella fu colui il quale si occupò in prima persona dell’uccisione di Giuliano. Egli faceva parte del clan dei Corleonesi, che in quel periodo stava prendendo sempre più piede in tutta la Sicilia, ma soprattutto a Palermo e provincia. L’uomo era inoltre cognato del boss mafioso Salvatore Riina, il quale fu considerato capo dell’organizzazione di Cosa Nostra dal 1982 fino al suo arresto, avvenuto nel 1993. La mattina del 21 luglio 1979, Giuliano uscì presto di casa per recarsi al bar a fare colazione. Proprio nel momento in cui stava pagando la consumazione al bar Lux in via Francesco Paolo Di Blasi, il capo della Squadra Mobile di Palermo fu raggiunto da sette colpi di pistola alle spalle, sparati da Leoluca Bagarella, che fuggì a bordo di un’automobile che lo aspettava subito dopo aver compiuto l’omicidio. L’anno seguente all’assassinio, una Medaglia d’oro al valor civile fu assegnata a Giuliano per il servizio reso allo Stato e per l’ingiusta fine vissuta.
La storia di Boris Giuliano, com’è facile immaginare, non è passata come indifferente nel mondo del cinema e della televisione. Questo sia per la natura dei fatti e per il simbolo che essa rappresenta, sia in quanto dovere percepito da molti di raccontare l’esempio del poliziotto alle generazioni future, in modo da non perdere mai di vista il messaggio della lotta alla mafia. Sono diversi gli esempi nel settore mediatico in cui la vicenda di Giuliano è raccontata: da “Cento giorni a Palermo” di Giuseppe Ferrara, al film di Pif “La mafia uccide solo d’estate”. Tuttavia, Giuliano è stato raccontato anche oltre l’evento dell’omicidio nella serie omonima al film “La mafia uccide solo d’estate“ di Pif, Pierfrancesco Diliberto, nel corso della quale il capo della Squadra Mobile di Palermo stringe amicizia con il giovane protagonista dandogli anche dei consigli per i suoi primi affari di cuore, il tutto fino al giorno della sua uccisione.
Ma l’eredità di Boris Giuliano non si esaurisce di certo nelle produzioni televisive e cinematografiche che ne raccontano la vita. Un esempio decisamente più concreto è infatti il figlio maggiore dell’allora capo della Squadra Mobile della città di Palermo: Alessandro Giuliano ha infatti intrapreso la carriera del padre lavorando dapprima in volante a Milano, finendo per dirigere le Squadre Mobili di città come Padova, Venezia, Roma e Napoli. L’uomo è infine stato promosso questore, prestando servizio dapprima a Lucca e attualmente a Napoli. Ciò che è certo è sicuramente il fatto che la più grande eredità di Boris Giuliano e di tutte le persone che hanno combattuto e tuttora combattono quotidianamente la mafia, consiste principalmente nella necessità di tramandare un messaggio di promozione della legalità che possa dare linfa ad un continuo impulso nella lotta alla criminalità organizzata, rendendo il loro impegno e sacrificio tutt’altro che vano.
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