Dai dati del Rapporto AlmaLaurea 2020 sulle Università italiane emerge un quadro a tinte fosche: Italo Dionigi, presidente di AlmaLaurea, lancia un grido di allarme, prima che abbia luogo il definitivo suicidio del Paese.
È fortemente preoccupato Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea, a seguito del Rapporto AlmaLaurea 2020 sul Profilo e sulla Condizione Occupazionale dei laureati. In un’intervista rilasciata a Fanpage, Dionigi, con le sue parole, lancia un vero e proprio grido di allarme, temendo fortemente per il futuro di un Paese che sembra pronto al suicidio sociale, vista la fuga imperterrita dei laureati all’estero.
Se sono state registrate una maggiore regolarità negli studi, un abbassamento dell’età di laurea, un aumento dei tirocini curriculari, nonché un incremento del tasso di occupazione dell’8,4% punti per i laureati di primo livello e del 6,5% per quelli di secondo, la situazione di emergenza sanitaria ha messo in dubbio questi progressi; l’indagine parziale marzo-giugno 2020 lascia emergere un calo di entrambe le quote, rispettivamente del 9% e dell’1,6% in meno.
Tuttavia, la didattica a distanza si è rivelata meno disastrosa che per le scuole – complici la maggiore età e l’autonomia degli studenti universitari. Si registra, infatti, che il 74,5% degli studenti ha seguito le lezioni, il 40% ha sostenuto regolarmente gli esami, solo il 17% ha avuto problemi tecnici e soltanto il 2% delle lezioni sono state annullate.
Molto positive le valutazioni nei confronti dei professori, considerando le spesso alte qualifiche del corpo docente; punto di forte criticità, invece, le valutazioni a livello strutturale e infrastrutturale degli Atenei: insoddisfazione dilagante per biblioteche, laboratori, attrezzature.
Sottolinea il presidente di AlmaLaurea, però, che non è pensabile ridurre tutto il percorso formativo universitario alla didattica a distanza; certe competenze non si possono di certo trasmettere online.
L’Italia si piazza come penultimo Paese in Europa per numero di laureati con, inoltre, una forte discontinuità territoriale. Un laureato su quattro del Sud non si iscrive a un Ateneo del Sud; la metà dei laureati del Sud non trova impiego in un’azienda del Sud. Così, si rischia che il Meridione proceda inesorabilmente verso un impoverimento generale dal punto di vista sociale e culturale, per non parlare delle risorse perdute. Si teme, per di più, un ulteriore calo nelle immatricolazioni a causa del dissesto economico lasciato dal Coronavirus.
Per impedire questo fallimento dell’Università italiana, sarebbe necessario mettere in atto un massiccio piano di investimenti per garantire il diritto allo studio.
Un’ulteriore e grave criticità riguarda la condizione delle donne laureate, spesso penalizzate a livello lavorativo da quel soffitto di cristallo che le vede retribuite con delle paghe inferiori e con meno possibilità di fare carriera.
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