Situato tra i quartieri della Civita e San Berillo, oggi il Convitto Cutelli accoglie diversi studenti di origini non italiane, la cui integrazione in classe e a scuola avviene tra storie a lieto fine e piccole difficoltà.
Era il 28 agosto 1654 quando Mario Cutelli, conte di Villa Rosata e signore dell’Alminusa, stabiliva nel suo testamento che, se la linea maschile di discendenza si fosse estinta, una parte del patrimonio sarebbe servita a fondare un “Collegio di uomini nobili“, destinato, nelle sue intenzioni, a diventare un centro di formazione della classe dirigente nobile, virtuosa e laica che avrebbe amministrato il paese. Tuttavia, l’inaugurazione del Convitto che oggi porta il nome del famoso giureconsulto sarebbe avvenuta solamente nel 1760. Da allora, sono passati più di 250 anni e il Convitto Cutelli, in origine scuola della classe più alta della città, si è aperto al territorio circostante, amalgamandosi con esso.
Per sintetizzare i cambiamenti avvenuti negli anni, basta ricordarne la posizione. Il Convitto Cutelli è incastonato tra uno dei quartieri più antichi di Catania, la Civita, con le case basse e le vie strette, e il quartiere multietnico di San Berillo, che pullula di abitanti provenienti da tutto il mondo ed è costellato di negozi etnici. Alle sue spalle si trova piazza Vincenzo Bellini, con il teatro a poca distanza e i locali della movida tutt’intorno, mentre di fronte, in piazza Cutelli, si affaccia la Moschea della Misericordia, il più grande edificio del genere a Catania.
La geografia intorno all’istituto, che oggi ospita, con la formula del semi-convitto, una scuola primaria, una scuola secondaria di primo grado e un liceo classico europeo, racconta come si trasformano le classi di studenti che lo vivono ogni giorno. Una metamorfosi che viene documentata anno dopo anno dagli ex-alunni tramite un archivio online consultabile da tutti, in cui vengono raccolte le foto delle classi che hanno abitato l’istituto, come le due che seguono. Dalle austere uniformi indossate dai ragazzi di terza media nella foto risalente all’anno 1929/1930, alle tute dei quasi “coetanei” di quarta elementare dell’a.s. 2009/2010, in cui sono almeno tre gli studenti con radici non italiane.
Oggi, in realtà, gli studenti di origine straniera non sono particolarmente numerosi. Come ribadiscono diverse insegnanti, si tratta di un numero che va nell’ordine di qualche decina, concentrati in particolare tra gli alunni più piccoli. Come A., per esempio, studente delle medie nato in Italia ma con genitori originari della Costa D’Avorio, che la professoressa Graziella Aliberti, responsabile della scuola secondaria di I grado, definisce come uno dei migliori del suo corso. È la stessa docente, mentre attraversiamo uno dei luoghi più iconici dell’istituto, il cortile Vaccarini, che sintetizza in poche parole i cambiamenti avvenuti: “Il Cutelli non è più il collegio dei nobili, si è aperto al territorio. Questa scuola si è aperta al territorio circostante, quello della Civita. Per cui è diventata una scuola d’accoglienza per i ragazzini che vengono dalla Civita. Soprattutto la scuola elementare e alla scuola secondaria di primo grado accolgono il territorio, creando un ambiente molto eterogeneo”.
Ma come avviene, in concreto, l’integrazione degli studenti di origine non italiana? Ne parla ai microfoni di LiveUnict Rita Barbagallo, educatrice dei convittori della scuola elementare. La sua classe accoglie nelle ore pomeridiane ragazzini che vanno dalla prima alla quinta elementare, per un totale di 21 alunni quest’anno, di cui quattro di origine straniera. “Lavoriamo sempre in un clima piuttosto sereno – esordisce l’insegnante – e i bambini non hanno grossi preconcetti, vivono serenamente la loro vita”, che poi li nomina: “A. è musulmano, la madre di O. è polacca e poi ho due bambini brasiliani, G. e N.; tutti si sono inseriti davvero bene”. Del resto, come sostiene la stessa docente, l’inserimento avviene con molta naturalezza e, a differenza dei grandi, non ci sono preconcetti che rendono difficile l’inserimento, anche se non sempre tutto avviene senza ostacoli per chi arriva da fuori.
È il caso di G., per esempio, trasferitasi dal Brasile all’Italia meno di due anni fa. “A inizio anno ha sofferto del distacco del suo Paese – specifica l’educatrice –, viveva come una sorta di ribellione questa cosa, perché non le stava bene niente, aveva sempre da ridire, ce l’aveva con la mamma e con noi, non voleva essere richiamata e manifestava il suo disagio in tutte le forme, dicendocelo apertamente”. Quest’anno, invece, le cose vanno diversamente e non ci sarebbero problemi. Del resto, “da un anno all’altro, le cose cambiano, i ragazzini hanno superato il disagio iniziale, c’è la crescita, ci sono tanti fattori – specifica la Barbagallo -, al punto che da un anno all’altro alcuni sono irriconoscibili. Su questo influisce anche il doversi abituare a una situazione diversa e metabolizzare nuove abitudini”.
Un caso simile è avvenuto con M.. Anche lui trasferitosi da un altro Paese, non frequenta il semiconvitto ma si è trasferito a Catania con la famiglia ed è entrato al Convitto Cutelli l’anno scorso. L’inizio, racconta l’insegnante, è stato davvero difficile, anche per le opposizioni del bambino, che capisce e parla l’inglese, ma si rifiutava di parlare l’italiano, affermando di non capire. “Dopo un primo momento di difficoltà, però – prosegue la maestra –, si è sì inserito nella classe, anche se continuava a giocare su questa cosa di non capire, estraniandosi un po’. Era quindi necessario chiamarlo, spronarlo a fare quello che facevano i compagni. Anche lui, nel suo piccolo, si è integrato, facendo anche amicizia con dei bambini che hanno dei bisogni particolari, a cui serve un sostegno, che sono iperattivi o che devono sfogare tutto quello che hanno dentro, tutti i disagi che loro vivono”.
Accanto a storie di integrazioni difficili e lunghe, ma comunque a lieto fine, ci sono, infine, quelle dei catanesi doc, come racconta ancora una volta la Barbagallo: “Per esempio alcuni ragazzi, non semiconvittori ma che abitano qua di fronte, di origine musulmana, che si sono integrati benissimo, sembrano più catanesi dei catanesi!”. O come quella di N., brasiliano come G., trasferitosi al Convitto Cutelli da un’altra scuola e inseritosi subito benissimo, malgrado provenga da una zona difficile di Catania. “Il bambino, indipendentemente dal fatto che la madre e la famiglia leghi molto più con brasiliani e facciano gruppo tra loro, ha molta voglia di fare da solo, senza essere spronato. Lavora bene e legge in maniera incredibile, tanto che l’anno scorso ho detto alla mia vice preside di venire a sentire come legge, in un italiano molto bello, anche senza cadenza del dialetto catanese”, conclude l’insegnante.
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