Il documentario diretto da Robin Lutz, verrà proiettato anche a Catania: un'unica data per il film-evento in città.
L’arte enigmatica e labirintica di Maurits Cornelis Escher, incisore e grafico olandese, trova espressione cinematografica in “Escher – Viaggio nell’infinito”, documentario diretto da Robin Lutz; arriverà al cinema il 16 Dicembre e verrà proiettato soltanto nella giornata di mercoledì 18 Dicembre presso il Cinema Alfieri di Catania, nelle fasce d’orario delle 18:30 e delle 21:00.
Il docu-film ruota attorno al rapporto tra l’artista olandese e l’infinito, tema centrale di moltissime opere dello stesso. Escher, infatti, affascinato dalla dimensione extracosmica priva delle determinazioni spaziali peculiari al mondo terreno, configura la sua intera produzione artistica come un costante tentativo di definire, nelle sue composizioni, lo stesso ordine spaziale infinito. E lo fa con composizioni dai motivi ripetitivi, solitamente convergenti verso un punto centrali, riducendosi o espandendosi all’infinito; oppure producendosi in una serie di cerchi concentrici: la distanza tra l’uno e l’altro diminuisce fino a formare una spirale logaritmica, ossia un tipo particolare di spirale che si ritrova spesso in natura; nonostante Escher non fosse a conoscenza di questa nozione matematica, ne è stato ugualmente attratto per l’idea di vortice infinito che essa esprime.
Le sue opere, d’altronde, sono piene di rimandi scientifici, nel tentativo -più che riuscito- di raffigurare l’infinito. Ed è così che riempie lo spazio con giochi di luci ed ombre, chiari e scuri, pieni e vuoti che si intrecciano fino a creare un’ordinata confusione: “Con le mie stampe, cerco di testimoniare che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza forma, come sembra talvolta”.
La storia del famoso artista grafico olandese si basa su più di 1000 lettere, diari e lezioni scritte originali. Il documentario si presenta come un viaggio verso i luoghi che lo ispirarono maggiormente, attraverso le testimonianze di due dei suoi figli, George di 92 anni e Jan di 80.
La voce narrante dell’attore britannico Stephen Fry esordisce con: “Temo che ci sia un’unica persona che può fare un buon film sulle mie riproduzioni: io”. Il regista ha appositamente scelto, infatti, di non ricostruire il suo personaggio attraverso la performance di un attore, di non renderlo dunque fittizio, ma di lasciarlo come testimone e narratore del nostro tempo che commenta la realtà dall’esterno, da un piano differente rispetto a quello che vede effettivamente svolgersi i fatti.
Ne emerge un’analisi della contemporaneità prega di ironia e stupore, soprattutto nei confronti di chi, ancora oggi, adopera le sue produzioni in svariati settori: dalle pubblicità, alla fumettistica, al cinema o, addirittura, nell’ambito dell’arte del tatuaggio.
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