È stato condotto uno studio molto interessante secondo la Svimez, associazione no profit che si occupa dello sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, che mostrerebbe come si stia creando un divario sempre più forte tra il sistema universitario del Nord e quello del Sud.
Nel sistema universitario italiano, il Ministero dell’Istruzione offre le possibilità di assunzione o promozione attraverso i “punti organico”, un budget che ogni anno è attribuito a ciascuno dei 65 atenei pubblici e necessario per garantire didattica e ricerca negli atenei. Come riportato da La Repubblica, la Svimez, Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, si è occupata di analizzare il decreto dell’8 agosto scorso con le risorse alle singole accademie, soffermandosi sull’allegato “punti organico”. Dalla tabella del Miur sono emersi ai due poli opposti Catania e Cassino, che nel 2019 hanno ottenuto “02 punti organico aggiuntivi e, dall’altra, l’Università di Bologna, a quota 75,69 “po aggiuntivi”, insieme al Politecnico di Milano, a 69,54.
Stando a quanto riportato, Cassino e Catania possono assumere un nuovo professore ordinario ogni due che vanno in pensione (all’incirca pari al 50 % delle assunzioni), mentre la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa quasi dieci docenti per ogni pensionato, la Sissa di Trieste sette, il Politecnico di Milano cinque come l’Università di Bergamo. Su questa problematica, chiaramente, incidono moltissimo i buchi di bilancio. Catania, ad esempio è caduta per ben due volte: nel 2017 con un buco di bilancio da 44 milioni di euro per contributi previdenziali non versati, con conseguente rientro ventennale che l’ha messa in crisi. Nella seconda, invece, si è ritrovata protagonista di inchieste giudiziarie che ne hanno comportato spese ardite e la non credibilità dei concorsi pubblici.
Oltre casi limite come questi, la tabella della Svimez mostra che “al di sotto del 100 per cento” (un professore va in pensione e uno entra) rientrano perlopiù le università del Centro-Sud: il Salento ha il turnover al 64%, Messina al 65%, Palermo e la Seconda Università di Napoli al 71%, Perugia al 72%, il Molise e Roma Tor Vergata al 73, la Calabria al 75, la Tuscia e la Basilicata al 76 e Macerata all’81. Penalizzate invece due università del Centro-Nord: Siena, terzultima con il 58 % di ricambio possibile in cattedra, che sente ancora la crisi del Montepaschi; e un ateneo come Genova 75% che risente della profonda crisi di natalità della città.
La crisi generale di quasi tutti gli atenei del Sud non reca danni solo all’efficienza del sistema universitario, ma intacca anche la possibilità di recuperare immatricolati e iscritti, causando sempre più spesso una emigrazione verso il Nord Italia. Questa è una realtà che la Svimez ha constatato, valutando un costante aumento del saldo migratorio universitario dal Meridione al Settentrione, pesante sul piano economico oltre che sociale, tradotto in tre miliardi di euro l’anno per il Mezzogiorno.
Lo studio dimostra che in Meridione si contano 60 punti in meno rispetto alle cessazioni, ovvero 120 docenti perduti e non sostituiti ogni anno. Basti considerare che in Sicilia si contano meno di 72 professori. Invece al Nord si registrano punti in positivo: in Veneto +30 punti, per il Piemonte +60, la Lombardia +168. E con la quota premiale – di cui possono disporre i migliori atenei che registrano alti numeri economici – tutto il Nord con il arriva a 250 punti in positivo, considerando che solo il Politecnico e la Statale di Milano da soli fanno +100.
Basta osservare le spesa per il personale per comprendere le distanze Meridione-Settentrione. La Normale superiore di Pisa impiega negli stipendi il 41,42 per cento di quello che ha a disposizione, Catania l’80,03 e Cassino, ateneo ancora considerato in “tensione finanziaria”, addirittura l’83,39 per cento. Queste ultime due, spendendo il doppio di Pisa, superano l’asticella dell'”ottanta su cento” posta alle università dai tempi del Governo Monti (2012).
“Così un’intera area geografica, il Sud, muore: muoiono la formazione, la cultura, la capacità di fare innovazione”, secondo Svimez, considerando molti degli atenei penalizzati anche più virtuosi rispetto ai canoni ministeriali, senza però reggere il passo delle università settentrionali. Secondo il direttore di Svimez, Luca Bianchi, “il divario si riduce investendo nelle infrastrutture sociali, le università appunto, non punendole” .
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