Armistizio di Cassibile: il ruolo della Sicilia nella lotta ai nazisti

L'armistizio di Cassibile è un evento che ha cambiato le sorti della storia mondiale: la sua proclamazione ha messo fine alla lotta italiana agli Alleati. Ma come si è arrivati all'accordo? E quale ruolo ha svolto la Sicilia nel suo raggiungimento?

La Seconda Guerra Mondiale rappresenta una delle fasi storiche che più ha scosso il mondo per effetti e conseguenze: oltre 54 milioni di persone persero la vita, molti paesi ne uscirono distrutti e una volta conclusa, il mondo non fu più lo stesso. Anche l’Italia partecipò a tale massacro e uno degli eventi più importanti per la storia del Paese nel periodo del secondo conflitto mondiale è sicuramente l’armistizio di Cassibile, con il quale il Regno d’Italia ha ufficialmente dichiarato la propria resa agli Alleati.

In ogni caso, è bene precisare che il processo fu ben più complesso e l’Italia dovette aspettare quasi altri due anni per dichiarare effettivamente conclusa la guerra sul proprio territorio. Tuttavia, l’armistizio firmato a Cassibile fu certamente un punto di svolta nella lotta al nazifascismo e la Sicilia fu proprio la culla di questo plot-twist storico. Ma quali furono le motivazioni che portarono gli Alleati a scegliere la Sicilia come punto di partenza per la liberazione dell’Italia dal nemico? E come reagirono i siciliani al loro arrivo?

L’armistizio

L’armistizio di Cassibile è il punto conclusivo dello Sbarco in Sicilia del 1943: attraverso la sua firma, la liberazione della Sicilia dalle truppe nazifasciste è compiuta e l’Italia viene consegnata nelle mani degli Alleati dalle alte cariche politiche, rappresentate dal re Vittorio Emanuele III e dal Presidente del Consiglio in carica, Pietro Badoglio.

Il luogo prescelto per la firma dell’armistizio fu un uliveto di proprietà della baronessa Liliana Sinatra Grande, vicino Cassibile, in provincia di Siracusa. Nello stesso punto della firma fu posta una lapide, detta Pietra della Pace, per ricordare l’evento, ma essa fu trafugata nel giugno del ’55 dal giornalista Enrico de Boccard, poi processato. Si perse così il punto esatto della firma e i tentativi di posizionare nuove lapidi furono vani, in quanto numerosi furono i danneggiamenti motivati dal valore simbolico che molti assegnavano al monumento: un disonore per la Patria. Tuttavia, oggi è presente una lapide in quei luoghi anche se non nel punto esatto della firma dell’armistizio.

Pietra della Pace a Cassibile.

L’armistizio fu firmato il 3 settembre del 1943, ma solo nella serata dell’8 settembre fu annunciato agli italiani da Badoglio in persona via radio. I firmatari dell’accordo furono i principali rappresentanti delle due parti: il Brigadiere Generale inglese Kenneth Strong, il Generale Italiano Giuseppe Castellano, il Generale statunitense Walter Bedell Smith e Franco Montanari, interprete per Castellano dal Ministero degli Esteri italiano.

I firmatari dell’armistizio: da sinistra Strong, Castellano, Bedell Smith e Montanari

La scelta della Sicilia

Durante i primi anni del secondo conflitto mondiale, le truppe Alleate si trovarono in netto svantaggio rispetto all’Asse Roma-Berlino-Tokyo. Con la Francia in ginocchio e l’avanzata quasi inarrestabile dei nazisti, le potenze Alleate decisero quindi di aprire un nuovo fronte nel sud Italia in modo da dislocare l’attenzione dei nazifascisti. La scelta ricadde quindi sulla Sicilia, la quale divenne la porta di ingresso per gli Alleati principalmente per la sua posizione strategica.

L’invasione dell’Isola avrebbe infatti garantito un alleggerimento della pressione tedesca negli altri fronti, fungendo da distrazione, e avrebbe migliorato la comunicabilità nel Mediterraneo. Dall’inizio dello sbarco bastò poco tempo per conquistare l’intera regione e far capitolare il Regno d’Italia: tra il 10 luglio e il 17 agosto l’operazione Husky fu completata, le truppe naziste lasciarono l’Isola e qualche settimana dopo fu ufficializzato l’armistizio.

I siciliani e gli Alleati

Ma quale fu l’accoglienza dei siciliani nei confronti delle truppe Alleate? In prevalenza, i locali accolsero gli anglo-americani come liberatori e in maniera calorosa: la speranza principale era infatti quella di una prossima fine della guerra. Numerosi sono gli esempi di città in festa all’arrivo degli Alleati, come nel caso di Palermo a fine luglio o della celebre foto del reporter Robert Capa scattata nei pressi di Troina all’inizio di agosto: l’immagine, replicata anche nel film di Pif “In guerra per amore”, raffigura un contadino siciliano che indica ad un ufficiale americano la direzione verso cui sono andati i tedeschi. Inoltre, nel clima di povertà e miseria, i doni portati dai soldati alleati alla popolazione non fecero che garantire loro un’ottima accoglienza.

Foto di Robert Capa

Purtroppo non fu tutto rose e fiori: numerosi furono gli scontri tra siciliani e soldati, in particolare con i “goumiers” facenti parte del Corps expéditionnaire français en Italie i quali perpetrarono numerosi crimini sulle popolazioni locali durante tutta la campagna d’Italia, dalla Sicilia fino alla Toscana. Questi atti passarono alla storia come “marocchinate” e si trattava di razzie e violenze di ogni tipo ai danni dei civili, i quali spesso reagirono nascondendo le donne e i bambini o con la violenza stessa:  a Capizzi, per esempio, circa quindici goumiers vennero uccisi dai locali per punire i loro crimini.

Memoria divisa

L’armistizio rappresenta un momento fondamentale della storia italiana anche per motivi che vanno oltre quelli meramente politici. Dal momento della sua firma, infatti, l’Italia si è letteralmente divisa in due: da una parte il Sud con lo stato monarchico stabilitosi a Brindisi sotto la protezione Alleata, e dall’altra il Nord dove il fascismo non era stato cancellato e sarebbe sfociato nella Repubblica sociale italiana o “di Salò” grazie alla presenza delle truppe naziste.

L’annuncio dell’8 settembre mandò in confusione i soldati italiani, che si trovarono nemici degli occupanti tedeschi e in pace con gli Alleati, ex-avversari. I tedeschi reagirono deportando moltissimi militari italiani e chi riuscì a scappare dovette decidere da che parte stare: se quella dei partigiani o quella dei repubblichini di Salò. In questo contesto si sviluppò sempre più quella che viene chiamata “memoria divisa” : la relativa condizione di pace vissuta dal Sud Italia non aveva infatti nulla a che fare con il clima di guerra civile tra partigiani e truppe fasciste che interessò principalmente l’area settentrionale del Paese. Proprio a partire da questo momento crebbe sempre più la Resistenza partigiana italiana e si costituì il Comitato di liberazione nazionale. Fatti che l’Italia meridionale non sperimentò e visse principalmente da spettatrice.

Martina Bianchi

Giornalista pubblicista con una laurea magistrale in Global Politics and Euro-Mediterranean Relations e una triennale in Scienze e Lingue per la Comunicazione, coltiva l'interesse per il giornalismo scrivendo per LiveUnict dal 2018 e coordinando la redazione da maggio 2022. Appassionata di lingue straniere, fotografia, arte e viaggi, ama scrivere di attualità, con un particolare interesse per i diritti e la storia.

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