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Zia Lisa: in una leggenda l’origine del nome del quartiere catanese

A differenza di altri quartieri il nome Zia Lisa deriverebbe non da santi o gente illustre, ma sarebbe da ricondurre alla leggenda di una bella popolana catanese.

Il quartiere della Zia Lisa è uno dei più nevralgici di Catania. Con la sua posizione strategica, infatti, esso si trova proprio al limite della Città e per questa ragione ne rappresenta l’inizio e la fine. Sebbene oggi esso sia ricordato per essere uno dei rioni trascurati e abbandonati a se stessi, esso fu un tempo il “il giardino” di Catania, con le sue floride campagne. Il suo nome, inoltre, trarrebbe origine dalla leggenda popolare da “Zza Lisa”, una popolana catanese nota per la sua straordinaria bellezza e forza di carattere.

Il quartiere di Zia Lisa si snoda lungo l’omonima arteria e confina con la zona di Librino, San Giorgio, Villaggio Sant’Agata, San Giuseppe la Rena e San Cristoforo. Oggi costituita prevalentemente da abitazioni popolari e capannoni malmessi, un tempo qui sgorgava la celebre Fonte dell’acqua Sant’Anna, che rendeva il terreno tutto intorno fertile e consentiva di irrigare i campi coltivati.

L’origine del nome Zia Lisa e la bella popolana

Come accennato, il quartiere prenderebbe il proprio nome dalla leggenda di una bellissima donna del popolo, Zia Lisa per l’appunto, moglie del proprietario di un fondaco, una locanda di infimo livello. La donna gestiva insieme al marito, zzu Cicciu Burritta Pilusa, la sua attività al confine di Catania. Al tempo la zona in cui oggi sorge il quartiere era disseminata di questo genere di locande e qui venivano accolti i carrettieri di ritorno dalle campagne.

Il fondaco di Zia Lisa pare fosse collocato all’inizio della strada che porta a Gelso Bianco, posto sul lato sinistro. In questo luogo c’era un continuo via vai di gente, che andava e veniva senza riguardo a tutte le ore del giorno. Non a caso, infatti, ancora oggi si usa l’espressione “pari ù fùnnucu d’àzza Lisa (letteralmente “sembra la locanda della Zia Lisa)”.

La zona franca della Zia Lisa

Zia Lisa e il marito gestivano la propria locanda come se fosse a tutti gli effetti una zona franca. Il motto della donna, in effetti, era appunto “senza cuteddu e senza sbirri” (senza coltello e senza polizia), facendo di questa filosofia l’unica vera regola vigente in quel luogo.

Per poter portare avanti questa idea e mandare avanti il suo fondaco nel più efficiente dei modi, Zia Lisa si avvaleva di un piccolo esercito di venti “uomini di malacarne”, loschi figuri alle sue dipendenze che garantivano che la regola venisse rispettata da tutti i passanti. Essi non solo si adoperavano per mantenere l’ordine, ma si occupavano anche di mantenere aperto il fondaco ventiquattro ore su ventiquattro.

La bellezza di Zia Lisa faceva impazzire gli uomini

Sebbene sposata, la donna non si sottraeva affatto alla forza della passione e sfruttava la sua eccezionale bellezza per conquistare i carrettieri che passavano di lì. Tra essi Zia Lisa sceglieva i suoi amanti, ma essi avevano la possibilità di giacere con lei una singola volta nella vita. In molti, dopo aver goduto di tali momenti, desideravano ripetere l’esperienza, ma, non potendo, non avevano altra scelta che struggersi d’amore per l’attraente e crudele popolana.

Alcuni impazzivano letteralmente, al punto di scegliere di mettere fine alla propria esistenza, mentre altri, al contrario, optavano per la vita monastica. Tra gli amanti della donna, un brigante tentò addirittura di rapire Zia Lisa per farne la sua compagna, ma quest’ultima, che oltre a essere bellissima era anche abile nella lama, lo sgozzò senza pietà.

Il busto scomparso di Zia Lisa

La leggenda narra anche che esistesse un mezzo busto settecentesco di marmo, dall’autore sconosciuto, raffigurante proprio l’attraente donna. In origine posto nel quartiere, si vocifera che venisse custodito gelosamente dagli eredi, ma si hanno testimonianze della sua esistenza solo fino agli anni ’30.

Un’altra versione del mito racconta di come un gerarca fascista se ne fosse innamorato, al punto di averlo collocato nella sua camera da letto, mentre altre ipotesi suggeriscono che esso fosse nascosto in un magazzino per sicurezza. Il busto sarebbe andato perso, però, insieme al magazzino a causa di un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale.

Altre ipotesi sull’origine del nome e Zia Lisa oggi

Ipotesi meno creative farebbero risalire il nome del quartiere catanese all’etimologia greca “Theia Elysia”, vale a dire “Divi Elisi”, termine riferito alla bellezza delle floride campagne che un tempo ricoprivano la zona. L’origine potrebbe, tuttavia, essere araba e derivare dalla parola “Zisa”, cioè “palazzo maestoso”, in relazione al fatto che quest’area rappresenta il punto d’incontro tra la campagna e la città.

Oggi, sfortunatamente, il quartiere di Zia Lisa versa in una situazione di evidente degrado e abbandono da parte delle istituzioni. Privo di centri di aggregazione, si staglia con le sue costruzioni spesso fatiscenti e si contraddistingue per la quasi totale assenza d’infrastrutture.

Sembrerebbe, quindi, la forza protettrice di Zia Lisa e del suo busto in marmo si siano esaurite, lasciando il quartiere dimenticato e abbandonato sé. La riqualificazione di questa zona di Catania rappresenta, al contrario, una necessità da non sottovalutare e anzi un’esigenza pressante. La sua posizione strategica, infatti, lo elegge a punto di raccordo e crocevia non solo tra l’area dell’aeroporto Fontanarossa e il centro, ma si pone come punto di contatto anche con alcuni dei più popolosi quartieri di Catania, tra i quali Librino. La speranza è, quindi, che si ritorni a concedere a questo rione catanese l’attenzione dovuta e si metta fine all’attuale situazione di degrado.

Debora Guglielmino

Classe '94, la passione per l'informazione e il giornalismo mi accompagna sin da quando ero ancora una ragazzina. Studentessa di Scienze della Comunicazione, amo la lettura e le atmosfere patinate ed eleganti tratteggiate nei romanzi della Austen. Appassionata e ambiziosa, sogno di poter un giorno conoscere il mondo e di raccontarlo attraverso una penna e un taccuino.

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