Il terremoto del Val di Noto fu uno dei più violenti e distruttivi della storia italiana. I suoi effetti furono devastanti su tutta la Sicilia orientale, da Messina a Ragusa. Alcune leggende sono nate attorno al disastroso evento.
Il terremoto della Val di Noto del 1693 può essere considerato come uno degli eventi sismici più violenti e disastrosi degli ultimi mille anni. Colpendo un’area vastissima, tutta la Sicilia orientale da Messina a Ragusa, causò morte e devastazione, entrando ufficialmente nell’immaginario collettivo siculo.
Il terrore e l’impressione provocati furono talmente intensi da essere riversati in storie di fantasia e leggende, legate proprio al terribile evento sismico. Ne sono un esempio i miti riguardanti il vescovo Carafa e Don Arcaloro, due personaggi realmente esistiti, legati al terremoto del 1693 e alla città di Catania.
La prima delle due leggende catanesi, incentrata sul terremoto del 1693, ruota intorno a un personaggio di spicco dell’aristocrazia locale del tempo. Realmente esistito, Don Arcaloro Scammacca Perna, barone della Bruca e Crisciunà, ricevette il 10 gennaio 1693 la visita di un’insolita fattucchiera, che si presentò presso il suo palazzo. La visita ebbe luogo il giorno precedente alla catastrofe. La scossa più distruttiva si registrò, infatti, l’11 gennaio di quell’anno, sebbene già nei giorni precedenti si fossero avvertiti dei violenti movimenti della terra.
La donna pretendeva a gran voce di essere ricevuta dal barone, poiché aveva importantissime notizie da riferire, e Don Arcaloro, dalla natura superstiziosa, acconsentì ad ascoltarla. La fattucchiera raccontò al nobiluomo di aver fatto un preoccupante sogno, durante il quale aveva visto Sant’Agata intenta a supplicare Dio, perché quest’ultimo risparmiasse la città etnea dall’imminente cataclisma che avrebbe sconvolto l’Isola.
Il Signore, tuttavia, incurante alle preghiere, negò la grazia, desiderando punire i peccati dei catanesi. La fattucchiera riferì altresì di avere udito le seguenti parole: “Don Arcaloro, Don Arcaloro, domani alle 14.00 a Catania si ballerà senza musica”. Al barone non servì molto per comprendere a cosa si riferisse quel ballo e, angustiato dall’imminente terremoto, si rifugiò nella sua dimora di campagna.
All’ora stabilita del giorno successivo il barone si accomodò su una poltrona e, con in mano un orologio, attese con pazienza l’ora fatale. Il terremoto, così come promesso dalla strega, arrivò implacabile, decimando la popolazione catanese e distruggendo palazzi e abitazioni. La leggenda venne riprodotta nel Settecento da Salvatore Lo Presti, in un dipinto che raffigura un uomo in attesa con un orologio in mano.
Anche la seconda leggenda catanese ruota intorno al terribile sisma di fine Seicento e, anche in questo caso, il protagonista è un personaggio realmente esistito. Al tempo il vescovo di Catania era Francesco Carafa, a capo della diocesi dal 1687 al 1693. I racconti popolari narrano che egli, grazie alla forza delle sue preghiere, già due volte fosse stato in grado di scongiurare il terremoto nella città etnea. Egli morì, tuttavia, nel 1692 e fu così che, venute meno le sue preghiere, la terra tremò al punto di causare morte e distruzione dappertutto.
Non a caso, nell’iscrizione sul suo sepolcro, posto nel Duomo di Catania, è possibile leggere le seguenti parole: “Don Francesco Carafa, già Arcivescovo di Lanciano poi Vescovo di Catania, vigilantissimo, pio, sapiente, umilissimo, padre dei poveri, pastore così amante delle sue pecorelle, che poté allontanare da Catania due sventure da parte dell’Etna, prima del terremoto del 1693. Dopo di che morì. Giace in questo luogo. Fosse vissuto ancora, così non sarebbe caduta Catania”.
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