I balconi murati di Palazzo Sangiuliano erano visibili da piazza Università fino agli anni '60. Dietro a essi il mistero di un terribile delitto.
Qualunque catanese, passando per piazza Università, si sarà ritrovato ad ammirare almeno una volta nella vita il bellissimo e storico Palazzo Sangiuliano. Di fattura barocca, opera della sapente mano di Gian Battista Vaccarini, esso ospita oggi gli uffici amministrativi dell’Università di Catania. La sua storia è, però, più antica e misteriosa. In particolare due balconi murati sarebbero responsabili di leggende e voci di corridoio. Tra le sue mura, infatti, si sarebbe consumato un efferato delitto.
Visibili dalla piazza fino agli anni Sessanta, quei due curiosi balconi non fecero che alimentare le fantasie e si sparse la voce che essi fossero la casa di un infelice spettro le cui urla risuonavano nella notte.
L’edificio fu costruito nel 1738 per la famiglia aristocratica dei Paternò, marchesi di San Giuliano, ma ospitò molti altri personaggi illustri, come il re Vittorio Emanuele III e la moglie Elena. A partire dal 1864 la cantina fu destinata ad Angelo Grasso, il quale vi adibì un teatro successivamente nominato “Machiavelli”. Dapprima sede dell’opera dei pupi, dopo pochi anni il teatro cominciò a offrire anche spettacoli con personaggi di Giovanni Grasso e Angelo Musco. Nei primi anni Dieci fu chiuso, per riaprire soltanto nel 2010.
Al di là delle esasperazioni e delle voci di corridoio, Palazzo Sangiuliano fu davvero il teatro di un efferato omicidio. Prima di ciò, tuttavia, questo luogo nel cuore di Catania fu testimone nel 1777 dell’unione in matrimonio di Rosalia Petroso Grimaldi, baronessa di Pullicarini, e Orazio Paternò Castello, Principe di San Giuliano. La giovane baronessa, bellissima e attraente, attirava con il suo viso angelico e la sua grazia un gran numero di pretendenti attorno a sé. Una volta sposa di don Orazio, ancora sedicenne andò ad abitare nel palazzo di piazza Università.
Il marito, però, era affetto da una morbosa gelosia e il sospetto che la moglie potesse tradirlo lo logorava. Per questa ragione la povera baronessa era costretta a vivere quasi in isolamento, segregata in casa e continuamente succube delle angherie del marito. I litigi alla dimora dei Paternò si fecero sempre più intesi, sebbene Rosalia fosse in realtà una moglie devota e madre dei loro tre figli.
Il 15 marzo del 1784, durante una furiosa lite, il principe di San Giuliano assassinò la moglie, sferrandole numerose coltellate. L’implacabile Orazio non si limitò a uccidere la sua sposa, ma colpì anche la cameriera personale di quest’ultima, poiché era accorsa in soccorso della padrona. La governate, sconvolta dall’accaduto, si precipitò in piazza in preda alla disperazione.
Questo efferato delitto passò rapidamente di bocca in bocca, destando una forte impressione in tutta l’Isola, al punto che furono fatte arrivare due compagnie di granatieri per impedire a don Orazio di dileguarsi e per sedare eventuali linciaggi. Il principe fu condannato a morte e i suoi beni confiscati.
Nonostante la drastica sentenza, il principe di Sangiuliano non pagò mai per le sue colpe. Potendo vantare di parentele potenti e influenti, egli si dileguò facendo perdere del tutto le sue tracce. In seguito, furono numerose le congetture che furono formulate in merito a questa scomparsa.
Una prima versione racconta di uno strano monaco che, al Monastero dei Benedettini, ogni notte piangeva e implorava perdono con disperazione. Secondo altri, invece, Orazio si sarebbe davvero nascosto al monastero, ma soltanto per un breve tempo, quello sufficiente a organizzare la sua fuga verso Malta.
La verità, comunque, sarebbe stata scoperta da Antonino di Sangiuliano, il celebre politico e diplomatico etneo, erede dei Paternò Castello. Egli durante un viaggio a Tripoli lesse un’opera di Richard Tully, il quale sosteneva di aver conosciuto un nobile siciliano, principe di Sangiuliano, che, convertitosi all’Islam per salvarsi la vita, sposò infine la figlia del pascià di Tripoli.
Ma da dove deriva l’insolita inquietudine per quei due balconi murati? In città si diffuse la notizia che gli eredi di don Orazio e Rosalia avessero fatto murare le finestre delle due stanze in cui era stato compiuto l’omicidio per mettere a tacere le voci sulla presunta infedeltà della madre. Con il passare del tempo, poi, la superstizione dei catanesi alimentò il mito secondo cui la bella baronessa fosse stata addirittura murata in quel luogo e che il suo fantasma privo di pace lo abitasse ancora.
La verità, però, è che la nobildonna non morì affatto in quella zona del palazzo, bensì nella cosiddetta “camera rossa”, una delle stanze da letto della famiglia. Dietro i due balconi murati, pertanto, non si celava altro che la volta del salone sottostante. Al di là della risoluzione del mistero, comunque, Palazzo Sangiuliano resta un luogo intrigante ed enigmatico e, anche se nessun fantasma dall’animo triste lo infesti, con un po’ di fantasia si possono ancora udire le urla disperate di Rosalia in punto di morte.
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