La Filca Cisl lancia l'allarme sulle cave dismesse in Sicilia, chiedendo alla Regione una riunione operativa per programmarne rilancio e recupero.
Tutti, almeno al liceo, hanno letto la novella di Rosso Malpelo che scava nelle cave di rena per sopravvivere. La storia, ambientata in Sicilia, ci ricorda un passato, ma anche un presente, tutto isolano: quello delle cave a cielo aperto. Attraversando l’Isola se ne notano parecchie, molte delle quali sono ormai dismesse perché esaurite o in via d’esaurimento. Fotografie di una terra sventrata per ricavarne risorse, ma che adesso giacciono inutilizzate, veri e propri ecomostri scavati in tutto il territorio.
Sono complessivamente 270, concentrati in particolar modo tra le province di Agrigento (42), Catania (40) e Trapani (39), i vecchi siti minerari di pietra calcarea, pomice, tufo, sabbia, argilla e gesso, che oggi potrebbero essere riconvertiti per creare nuovi posti di lavoro e salvaguardare l’ambiente.
L’appello arriva dalla Filca Cisl regionale, la Federazione dei lavoratori edili, che ha fatto il punto sugli impianti esistenti, attivi e non, chiedendo la convocazione urgente di un tavolo tecnico con la Regione per avviare un percorso di rilancio del settore.
Attraverso il decreto sugli incentivi per le fonti rinnovabili, varato lo scorso novembre dal ministero dello Sviluppo economico, sono previsti criteri di priorità per gli impianti eolici e fotovoltaici realizzati all’interno di miniere esaurite. In questo modo, sarebbe possibile riqualificare le cave, convertendole in aziende green.
In Sicilia, tuttavia, la misura stenta a partire a causa di alcune criticità regionali. In primo luogo, affermano dal sindacato, il cronico deficit infrastrutturale dell’Isola, che scoraggerebbe qualsiasi imprenditore, ma tra i colpevoli figura anche la Regione, complice di non aver disposto agevolazioni in merito. In realtà, ci sarebbero quelle previste per le Zes, le Zone economiche speciali a 100 km dalle coste, ma sono ancora inattive.
Inoltre, nell’Isola ci sarebbero anche le cave attive, anch’esse un problema. Secondo un report di Legambiente, si tratterebbe di circa 400 ulteriori cave, ma per la maggior parte si tratta di siti finiti sotto sequestro a causa delle infiltrazioni mafiose. Inoltre, quasi tutti i siti sono in crisi e vicini alla chiusura, con centinaia di lavoratori a rischio.
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