Il dialetto è la lingua delle radici, ma che rapporto hanno i giovani con essa? Ai microfoni di LiveUnict la spiegazione della prof.ssa Alfonzetti.
Il dialetto è una lingua a tutti gli effetti, con le proprie caratteristiche e modalità d’uso. Quando si pensa al dialetto si fa sempre riferimento alle proprie origini, alla tradizione e alla storia di ciascuna persona. Ma cosa pensano i giovani del dialetto? Come lo usano, che rapporto hanno con esso? La professoressa Alfonzetti, ordinario di Linguistica Italiana all’Università di Catania, ci parla del rapporto che si sviluppa tra i giovani e il dialetto.
“È necessario distinguere tra due tipologie di giovani parlanti del dialetto – spiega la docente – : giovani per i quali esso è la lingua materna, provenienti da un ambiente culturale non elevato, e parlanti evanescenti. Questi sono i semi-speakers o, per usare un’espressione più lugubre ma che rende l’idea, “parlanti terminali”. Si tratta di quei giovani che appartengono ad un livello socioculturale più alto e che hanno acquisito come lingua primaria l’italiano. La motivazione di questa differenza può essere l’ignoranza da parte dei genitori del dialetto, o il loro rifiuto di utilizzarlo con i figli. Per questi ragazzi il dialetto diventa come una lingua straniera acquisita dagli anziani ma anche dal gruppo dei pari quando si frequenta la scuola”.
I semi-speakers non conoscono bene il dialetto e tendono ad usarlo in casi specifici definiti “usi speciali“. Come spiega la professoressa, “la loro competenza è limitata e frammentata: il dialetto viene appreso e usato a piccoli pezzi, con espressioni fatte inserite all’interno di frasi in lingua italiana. I giovani che hanno un bilinguismo bilanciato ne fanno un uso alternato, preferendo il dialetto per parlare in famiglia o con gli amici e l’italiano per situazioni più formali. I semi-speakers, invece, utilizzano il dialetto limitatamente perché non hanno la competenza necessaria per sostenere un discorso compiuto“.
La professoressa, specifica che i giovani utilizzano il dialetto in particolare “per due funzioni principali: quella espressiva, per insultare, per il turpiloquio o per esprimere l’affettività, come spesso si riscontra su Internet, oppure quella ludica, per scherzare e divertirsi con modi di dire o frasi fatte”. La prof.ssa Alfonzetti riporta a tal proposito un aneddoto personale avvenuto in una classe di scuola media: durante un esperimento che consisteva nel raccontare la propria giornata in dialetto è stato evidenziato che le ragazze si sono rifiutate di parlare in dialetto davanti ai compagni mentre tra i ragazzi che si sono esposti davanti alla classe si è riscontrato una evidente difficoltà nel formulare un discorso totalmente in dialetto; risultato è la produzione di tante forme errate e italianizzate: “Questo dimostra una competenza limitata e frammentata da parte dei giovani i quali non riescono a formulare delle semplici frasi totalmente in dialetto”.
“Tuttavia un altro risultato rilevante – continua la prof.ssa Alfonzetti – riguarda le numerose risate che si propagavano nell’aula sentendo i compagni esprimersi in dialetto: la risata è infatti un cattivo segno perché, come sottolineato da un importante linguista quale Weinreich, le lingue morenti suscitano il riso. Una lingua in regressione assume connotazioni comiche anche se non si dice nulla di comico“. Questo è un sintomo che può farci intendere la direzione verso la quale sta andando il dialetto.
Il dialetto suscita quindi ilarità nei giovani, ma anche timore e distacco. Se ascoltare un compagno parlare in dialetto provoca la risata, al contempo il parlante non è ben visto da chi lo ascolta, il quale tende a giudicarlo negativamente, come una persona volgare e poco istruita. “Un’interessante inchiesta a questo proposito è quella messa in pratica da Giovanni Ruffino, Presidente del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Egli ha proposto ai maestri elementari italiani di chiedere ai propri alunni cosa ne pensassero del dialetto. Il risultato è che il dialetto è percepito dai bambini come la lingua dello scherzo, dei mafiosi o delle persone di poco conto.
Molti giovani inoltre dichiarano che se da piccoli parlavano il dialetto venivano rimproverati dai genitori, i quali fornivano come motivazione per il loro richiamo la pessima concezione che si ha dei dialettofoni. Tuttavia non si tratta di un’ideologia che appartiene solo ai genitori. Studi dimostrano che anche i giovani sono convinti che il dialetto serva solo per scherzare con amici e non “per parlare”, perché in quel caso si diventa volgari.
Si riscontra quindi una profonda ambivalenza da parte dei giovani. Essi si dispiacciono della possibilità che il dialetto possa sparire in futuro, perché esso rappresenta la tradizione, ma non ne fanno un uso quotidiano né pensano di insegnarlo ai figli. Questo a causa del timore della percezione che si ha comunemente dei dialettofoni”.
Viviamo in un’epoca in cui il dialetto sta di certo vivendo un revival rispetto alla generazione passata, quando il dialetto fu spesso rifiutato. Come sottolinea la professoressa Alfonzetti, “questo è visibile soprattutto nell’ambito turistico-gastronomico, nei menù, nelle insegne dove sono presenti nomi dialettali. O ancora nello spettacolo, nella musica, nel teatro e nei social. In questi permane l’aspetto ludico del dialetto anche attraverso la commistione con altre lingue, come l’inglese: si dà così vita a frasi fatte scherzose di cui il web è pieno e che spesso diventano veri e propri fenomeni virali. Inoltre, studi riportano che quando una lingua si trova in una fase terminale, l’atteggiamento verso di essa cambia. Come quando si sta perdendo qualcosa e questa acquista maggior valore ai nostri occhi“.
Altro elemento fondamentale è il tipo di dialetto che si trasmette. I giovani d’oggi, in gran parte semi-speakers, non conoscono bene il dialetto, quindi in un futuro potrebbero tramandare solo pochi tratti ai propri figli. “Si riscontra una italianizzazione del dialetto che provoca la scomparsa e l’obsolescenza di termini dialettali che diventano desueti. Si parla a questo proposito di un processo di rilessificazione del dialetto. Inoltre, è sicuramente in corso un importante ridimensionamento del dialetto a causa del “language shift”. A partire dal 2000, infatti, quantitativamente sono più le persone che hanno imparato l’italiano come lingua materna e non il dialetto. E questo è fondamentale perché una lingua vive se si trasmette di generazione in generazione“.
Ciò che è certo è che ogni lingua segue il proprio corso, e può anche accadere che esse muoiano. Il nostro intervento per interrompere un simile processo può servire a ben poco. Tuttavia iniziative culturali per ricordare le proprie radici sono sicuramente ottime proposte che potrebbero permettere un proseguimento di vita e diffusioni ai tanto cari dialetti.
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