Nella giornata di ieri l'Osservatorio Banche-Imprese ha presentato al Senato le stime per la crescita nel prossimo quinquennio. Poche speranze per il Meridione, che cresce troppo lentamente rispetto al resto d'Italia e rimane sempre più indietro.
Il rapporto presentato nella giornata di ieri in Senato dall’Osservatorio Banche Imprese suona come un de profundis per l’economia siciliana. Secondo i dati presentati dall’Obi sulle province meridionali, la Sicilia, nel quinquennio 2019-2023, vedrà aumentare il suo valore aggiunto del +0,6% annuo e l’occupazione del +0,5%, troppo poco per segnare un concreto miglioramento per le condizioni dei suoi abitanti e per fermare l’annuale emorragia di giovani e laureati che lascia la terra natale per cercare fortuna altrove.
Certo, i segnali di ripresa rispetto al periodo della crisi del 2008 non mancano, ma si tratta di una crisi avvenuta più di dieci anni fa e il miglioramento registrato è tanto flebile da non lasciare spazio neppure a timidi entusiasmi. Nella sua analisi tanto lucida quanto impietosa, l’Obi segnala altri due fattori non meno preoccupanti. In primis, fuori dall’Isola il resto del Meridione non se la vedrà molto meglio, con poche province, come Matera, a crescere di più (+1,4%), grazie ai benefici derivanti dalla designazione a Capitale europea della Cultura per l’anno in corso. In secondo luogo, la Regione non crescerà in modo uniforme: si oscilla dall’esempio virtuoso di Palermo, che segna un +0,9% del valore aggiunto, ad Agrigento, provincia a crescita nulla.
Nel catanese ci si ferma appena al di sotto della soglia del galleggiamento, con una crescita per la provincia del +0,7% del valore aggiunto e dell’occupazione del +0,5%. Sono dati da zombie, a cui fa seguito ovviamente una previsione negativa per quello che riguarda il dato generale: nel 2018 il contributo del Meridione all’economia nazionale è stato del 22,8%, mentre diciotto anni fa, anche se sembrano passati secoli, sfiorava il 25%. La stima per domani, invece, vede ulteriori ribassi, fino a toccare il 22,6% nel 2023.
E mentre le regioni ricche del Nord reclamano una maggiore indipendenza fiscale, con aree del governo pronte ad assecondare la proposta, l’Osservatorio fa notare come tra le cause del divario ci sia la contrazione degli investimenti al Sud. La ricetta per uscire da questa situazione stagnante? È sempre la stessa: intensificare gli investimenti su settori chiavi della crescita, quali infrastrutture, logistica, porti, Zes, industria manifatturiera, eccellenze tecnologiche, scuola, università e ricerca.
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