Nei pressi di Nicolosi esiste un Monastero, precedentemente abitato dai monaci, che porta con sé i segni del passato.
La storia del Monastero dei Benedettini ha origini molto antiche. In prossimità di Nicolosi esiste un altro monastero con lo stesso nome, detto “il vecchio” per distinguerlo da quello di Catania, che può essere considerato il “papà” del grande cenobio catanese.
Le prime tracce storiche di questo sito risalgono alla metà del XII secolo, quando, seguendo la testimonianza di Tommaso Fazello, il conte Simone di Policastro, nipote del più celebre conte Ruggero d’Altavilla, concesse l’uso di una piccola chiesa e degli edifici circostanti ad un monastero benedettino sito in Malpasso, il cui nome è San Leone in Pannacchio.
In questa zona molto fertile e dal clima favorevole, i monaci benedettini seguendo la regola “ora et labora” si adoperarono giornalmente a coltivare le terre, e tra i prodotti dei campi spiccano sicuramente l’olio e il vino. Intorno ad esso si aggregarono gruppi di famiglie che lavorarono le terre monacali e ne commerciano i prodotti. Si creò così il primo nucleo di un villaggio, i cui abitanti vennero chiamati “I Nicolosi”.
Il monastero crebbe in possedimenti e prestigio, divenendo un importante sito posto sulla “Via Magna” l’antichissima strada che connetteva la costa ionica con l’interno dell’Etna. Divenuto indipendente, venne diretto da un proprio abate.
Nel XIV secolo il monastero conobbe un periodo di splendore: la regina Eleonora d’Angiò soggiornò diverse volte presso il cenobio etneo, spostandosi dalla sua dimora estiva di Malpasso, presso contrada Casale la Guardia, per condividere con i monaci momenti di preghiera. Si possono facilmente immaginare nobili, amministratori del regno e umile gente alternarsi nella stanze del monastero per far visita alla regina nota per le sue qualità umane, politiche e diplomatiche. Eleonora d’Angiò vi morì il 9 o 10 agosto del 1341, e venne seppellita in loco. Successivamente la salma sarà traslata a Catania nella chiesa di San Francesco all’Immacolata, da lei fatta costruire nel 1329 come atto di devozione, dove è oggi ricordata da una lapide.
Nei due secoli successivi il convento di Nicolosi diventò tra i più importanti dell’area etnea. Dal 1537 vi soggiornò Benedetto Fontanini, che probabilmente qui compose la sua più celebre opera “Beneficio di Cristo”.
Nella metà del XVI secolo, a seguito di eventi sismici e vulcanici, delle frequenti aggressioni da parte di bande di briganti e del clima rigido del luogo, i monaci chiedono di trasferirsi a Catania. È tuttavia possibile che dietro a questa volontà vi fosse anche il desiderio di vivere in prossimità di un’importante città qual era Catania, luogo sicuramente più vicino al potere politico. Nel 1558 i religiosi si trasferirono nel nuovo convento che eredita il nome del primo, e che viene edificato presso la “Cipriana”, accanto alla collina di Monte Vergine.
Tuttavia, il convento di Nicolosi non si spopolò del tutto. La chiesa offrì servizio anche agli abitanti del villaggio di Nicolosi, ed alcuni religiosi vi risiedono per gestire le importanti attività produttive agricole. D’estate poi, il clima fresco e gradevole è l’ideale per offrire ristoro ai monaci, specie ai più anziani.
Nel 1669 un episodio sconvolge tutta l’area sud-etnea: proprio presso Nicolosi, a meno di un chilometro dal convento, si apre una delle bocche di quella che è definita la più distruttiva eruzione dell’Etna. L’ampia colata che fuoriesce dagli attuali Monti Rossi, in soli 123 giorni distrugge gran parte dei centri abitati di Etna-sud, fino a lambire Catania ed inoltrarsi a mare per oltre un chilometro dalla costa.
Nicolosi è solo sfiorata dall’eruzione, ma i forti terremoti e i numerosi metri di cenere fuoriusciti dai crateri lasciarono in piedi molto poco del villaggio. Anche il monastero ha molti dei suoi edifici compromessi. I nicolositi ricostruirono con tenacia le proprie case, anche affrontando l’autorità politica locale che desiderava il trasferimento nella nascente Fenicia Moncada, a sud dell’attuale Belpasso. Il monastero di San Nicolò è riedificato, ma in tono minore, essendo ormai un convento di secondaria importanza.
Sono questi gli anni dei viaggiatori del Grand Tour: intellettuali e aristocratici di tutta Europa giungono in Italia per scoprire le bellezze antiche della penisola. Anche l’Etna è una tappa obbligatoria del Grand Tour in Sicilia. Il cenobio nicolosita diventa un sito di sosta lungo la via di ascesa alle sommità del vulcano, importante luogo di ristoro prima di immettersi nelle terre desolate e selvagge etnee. Vi sostano personaggi illustri: il poeta e critico inglese Samuel Taylor Coleridge; il pittore paesaggista e architetto francese Jean Houel; il sacerdote naturalista Lazzaro Spallanzani; lo storico e scrittore scozzese William Agnew Paton; il romanziere e drammaturgo francese Alexandre Dumas; il vulcanologo tedesco Wolfgang Sartorius von Waltershausen.
Nel 1866 le leggi Siccardi portarono alla confisca di un immenso numero di beni ecclesiastici situati lungo tutto il nascente Regno d’Italia. Anche il convento nicolosita, come molti altri luoghi della Penisola, visse il suo periodo più buio: abbandonato dai monaci, è venduto a privati e trasformato in un luogo rurale, ricovero per animali e deposito: in questo periodo si persero, secondo la testimonianza di alcuni nicolositi, importanti decorazioni, mobilio, oggetti, attrezzi e vesti; alcuni degli affreschi vengono staccati.
Questo stato di abbandono e trascuratezza durò più di un secolo. Ma alla fine la sua lunga e prestigiosa storia salvò il monastero, che alla nascita del Parco dell’Etna – nel 1987 – da questi viene acquisito e, dopo una lunga ristrutturazione, ne diventa sede nel 2005.
Non resta quindi che andare a fare una visita a questo antico luogo sito alle pendici dell’Etna, che raccoglie in sé la storia del grande Vulcano e la contemporanea, simbiotica presenza dell’uomo.
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