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Il dress code agli esami? Bennato (Disum): “Questione di cultura professionale e appartenenza”

La questione del codice d’abbigliamento da tenere durante gli esami ritorna ciclicamente ogni anno. Il dibattito s’infittisce specialmente durante la sessione estiva, quando il decoro richiesto nelle strutture universitarie cede a volte il passo a bermuda, sandali e shorts. Abbiamo discusso a proposito del dress code che richiedono queste circostanze con il professore Davide Bennato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Disum.

Quest’anno la miccia è stata accesa a Palermo, dove il professore Francesco Cappello, docente di Anatomia umana del dipartimento di Biomedicina sperimentale e Neuroscienze cliniche dell’Università al Policlinico, ha pubblicato sul proprio profilo Facebook e affisso al dipartimento in cui lavora un’immagine che funge da monito per tutti i suoi studenti.

In questa si ricorda il divieto, per chi dovesse sostenere esami o anche solo verbalizzarli, di indossare pantaloncini e infradito, invitando a vestirsi in maniera consona e decorosa. Pena, il mancato accesso alle strutture universitarie.

In meno di 24 ore l’immagine ha raccolto centinaia di likes, misti a commenti di solidarietà e di apprezzamento nei confronti del docente, e ha attirato l’interesse della rete tra detrattori e sostenitori dell’iniziativa. All’interno del sondaggio, lanciato attraverso i nostri canali social a proposito del tema dress code, fioccano i commenti contrastanti, con gli utenti divisi su fronti opposti. C’è chi, come Giordano, afferma che si tratti di un’inutile formalità, e chi, come Paola, sostiene che sia giusto che all’università, così come a lavoro, si mantenga un certo rigore e decoro nell’abbigliamento, ma le due parti si equivalgono.

Abbiamo provato ad affrontare la questione da un punto di vista sociologico rivolgendoci a Davide Bennato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al dipartimento di Scienze umanistiche. Il professore, ai microfoni di LiveUnict, ha presentato il suo parere individuando i due elementi attorno a cui ruota il caso del dress code accademico.

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“Il primo è il tipo di cultura professionale legata a una certa di disciplina. – spiega il docente -Esistono discipline che danno una particolare attenzione al presentarsi in maniera formale, ad esempio Giurisprudenza, e altre che prediligono un approccio più informale, ad esempio quelle legate alla ricerca applicata, come Informatica. Quindi, il primo fattore da prendere in considerazione è sicuramente il tipo di cultura professionale che gravita intorno allo specifico dipartimento.

Assieme a questo primo fattore, di natura esterna ma comunque determinante nell’indirizzare anche inconsapevolmente alcune scelte degli studenti, si somma il secondo, altrettanto importante, che ha a che fare con il modo in cui gli studenti vivono e sentono proprio il luogo in cui studiano. Si tratta, specifica il docente, del rispetto e del senso di appartenenza che gli studenti hanno nei confronti dei loro dipartimenti. Presentarsi decorosamente a un esame è anche espressione del tipo di attaccamento che si esprime nei confronti di quello specifico dipartimento. Quindi, in realtà, il modo in cui gli studenti si presentano all’esame, o semplicemente a lezione, dipende da questi due fattori: la cultura professionale che gravita intorno al dipartimento e il tipo di appartenenza che gli studenti sentono per esso.”

Naturalmente, aggiunge: “ci possono essere delle situazioni altalenanti: possono esserci dei ragazzi che non ci pensano, per cui è una routine quella di fare un esame, e quindi non si pongono la questione di dovervisi presentare in un certo modo oppure no; ma, per quanto mi riguarda, e questa è una questione puramente sociologica, il sapersi presentare con un abbigliamento decoroso il giorno di un esame non è tanto un modo retorico, una formalità, ma anche una maniera per farsi vedere nel miglior modo possibile.”

Secondo il docente, il rischio da evitare è che presentarsi all’esame in modo decoroso possa diventare una scusa per far passare un formalismo di facciata. In realtà, come precisa il prof. Bennato, si tratta di una questione d’appartenenza: amare il posto in cui si studia può voler dire anche vestirsi in modo adeguato alle circostanze; viceversa, se lo si percepisce come un posto di passaggio, dove risolvere un’impellenza burocratica, può darsi che non si dia peso a questo aspetto.

A proposito dell'autore

Domenico La Magna

Nato a Catania, classe '95, si è laureato in Filologia Moderna all'Università di Catania nel 2020 con una tesi su Calvino e l'editoria. Inizia a collaborare con LiveUnict da ottobre 2017. Appassionato di politica, segue con particolare attenzione i temi riguardanti l’Unione Europea e l’ambiente. Frequenta il Master di 2° Livello in Professione Editoria all'Università Cattolica di Milano.