Studenti e professori sono il binomio perfetto, la pietra su cui si fonda l'idea di scuola. Ma probabilmente gli episodi dell'Itc Carrara di Lucca smentiscono tale fondamento: gli studenti aggrediscono e i docenti subiscono. Così, la crisi ha colpito anche l'educazione?
La scuola è uno dei luoghi dove formazione e istruzione si riallacciano a istanze sociali. Tali istituzioni formali devono essere in grado di garantire un percorso che sia libero, democratico e creativo – in breve, la scuola deve mettere a proprio agio gli studenti nella società extra-scolastica e renderli critici. Un compito non facile da parte della scuola.
Dopo anni di lunghi dibattiti e scontri culturali, la scuola pareva finalmente essere slegata dall’ideologia del potere socio-politico del mondo industriale: finalmente l’istruzione è diventata pubblica, aperta a tutti, laica, libera e, appunto, democratica. Ma a distanza di cinquant’anni da una rivoluzione studentesca e culturale – quella del 1968 -, la scuola sembra essere soggetta ad una trasformazione. Una trasformazione che interessa il rapporto docente-studente e che non lascia spazio all’ottimismo.
Il caso dell’Itc Carrara di Lucca è uno dei tanti momenti di crisi dell’etica e della morale scolastica. Dell’educazione in generale, si potrebbe dire. Prima in una scuola media di Avola, dove un docente di educazione fisica è stato picchiato dai genitori di un alunno (che è stato solamente rimproverato dal professore); poi in un istituto tecnico di Casertano, una professoressa di italiano è stata accoltellata da uno studente per avergli messo una nota sul registro; segue l’aggressione di un vicepreside di Foggia, picchiato dal padre di un alunno; e infine alla “tortura” della professoressa di Alessandria, legata e filmata dagli studenti.
A Lucca il caso è diviso in due momenti, ma il soggetto all’aggressione è sempre lo stesso professore. Quest’ultimo prima è stato minacciato da uno studente, che pretendeva un 6 sul registro; poi è stato letteralmente aggredito da più studenti. In questo secondo momento, il professore si è ritrovato alcuni ragazzi che si avvicinavano alla cattedra con fare minaccioso, mentre un alunno con il casco lo ha preso a testate (anche se non violente). Nessuna reazione del resto della classe: si limitavano a filmare e a ridere.
Le sanzioni sono state già idealizzate ed arriveranno per i quattro protagonisti – tutti minorenni – dell’accaduto, nonché diffusori sui social dei due video, come dice il preside dell’istituto di Lucca, anche se ha chiaramente detto che solo alcuni verranno sospesi fino alla fine dell’anno e pochi saranno soggetti alla bocciatura. La questione, però, non riguarda solo le misure punitive, ma il motivo per cui tutto ciò è accaduto. Certo, la risposta è “perché volevano scherzare“, così come hanno detto gli stessi studenti. Ma è una risposta plausibile? Ci si deve accontentare della risposta beffarda di alcuni ragazzi – lontani dalla maturità – che volevano solamente scherzare? Ovviamente no.
La risposta effettiva si può trovare solamente analizzando la società. L’età tecnologica ha dato a tutti molte opportunità, soprattutto per mettersi in bella vista, di farsi vedere dagli altri. I social mettono in relazione miliardi di persone da tutte le parti del mondo: “essere qualcuno” qui diviene estremamente facile. Qui calza a pennello la questione di Lucca: c’era davvero bisogno di filmare tutto? Certo che sì; se no, quegli studenti non sarebbero mai diventati qualcuno. Dovevano far capire che erano loro ad avere il dominio della classe.
Il prestigio che i social regalano a tutti, il piccolo posto nella società che si vuole ritagliare, rende questa generazione incline all’alienazione nella tecnologia e nella notorietà. La scuola non acquisisce più quel ruolo di fondamentale importanza nella formazione, non c’è più un percorso che porta gli alunni alla creatività; tutto si confonde nell’importanza che i social acquisiscono: la scuola è momento social, è opportunità per mettersi in mostra. Ed alcune volte, porta ad eventi come quelli che abbiamo preso in esame in questa sede. Avola, Casertano, Foggia, Alessandria e Lucca sono i risultati dell’impulsività social-mediatica.
Probabilmente c’è bisogno di una riforma etica della scuola, ma è una misura piuttosto drastica. In realtà, una soluzione deve venire anche dall’altro momento della formazione dell’individuo: la famiglia. Questa ha l’obbligo di legarsi alla scuola, per il bene dello studente-figlio, per la crescita e la maturità dell’individuo. Bisogna unirsi contro la tecnologia? No. La tecnologia non è il male, nemmeno i social lo sono. Ma si può dare delle prescrizione, un’educazione all’uso dei social – un uso responsabile – in modo da evitare la completa alienazione dell’individuo nella piazza virtuale.
Allora c’è la possibilità di salvare il processo di liberazione dei costumi ideologici della formazione, avviato con il 1968, oppure c’è bisogno di misure drastiche per l’intero assetto educativo? In questo momento, il dibattito dell’opinione pubblica pone la lancetta sulle sanzioni che devono essere applicate ai ragazzi. La stessa ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, richiede il pugno duro contro il bullismo verso i docenti: “Minacce e offese a docenti da parte di studenti sono inaccettabili ed è necessaria una linea rigorosa nelle sanzioni. Chi infrange le regole, chi ricorre alla violenza verbale o fisica nei confronti di professoresse e professori va sanzionato secondo le norme vigenti, che prevedono la sospensione dalle lezioni per periodi di tempo diversi a seconda della gravità delle azioni compiute e, nei casi più gravi, anche la non ammissione allo scrutinio finale“.
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