La vita all'università ha il sapore dell'intraprendenza, ma spesso lo studente universitario si ritrova a rimpiangere vecchi momenti vissuti alle superiori che ormai sembrano davvero lontani. Siete anche voi dei nostalgici? Allora vi ritroverete in questi 10 punti
Il passaggio dalla scuola superiore all’università segna la fine di un’era spensierata. Ai tempi della scuola si desidera, inconsapevolmente, la vita dello studente universitario fatta per lo più di decisioni autonome, intraprendenza e organizzazione nello studio. Giunti all’università, e passato il primo anno, ci si rende conto che in realtà la vita alle superiori non era poi così male. Che l’uomo sia un essere incontentabile lo sappiamo bene, ma non si può negare che gli anni delle superiori siano i più belli in assoluto. E lo si capisce quando, a distanza di un paio di anni dal conseguimento del diploma, ci si ritrova a rimpiangere alcune cose che mai avremmo immaginato di rimpiangere.
Sì, non è uno scherzo. In prossimità di un esame universitario può capitare di tornare indietro con i ricordi e rimpiangere lo studio “matto” (ma non troppo) che anticipava la fatidica giornata di interrogazioni o, peggio, di compiti in classe. Perché alla fine, col senno di poi, ci si rende conto che quelle dieci pagine da studiare per il giorno dopo non erano poi così male paragonate alla mole di libri necessaria per preparare un solo esame universitario. Un unico pomeriggio di studio non avrebbe compromesso la nostra vita sociale, come invece accade all’università per giorni o addirittura settimane. Ma soprattutto, in caso di impreparazione, alle superiori si poteva giocare il jolly: la giustificazione.
Oltre alla giustificazione, c’era un altro metodo di salvezza dalla “carneficina” delle interrogazioni. Tutti, almeno una volta nella nostra vita, abbiamo marinato la scuola. La prima volta è quella che si ricorda meglio: il timore di essere scoperti dai genitori, la soddisfazione di aver fatto una piccola trasgressione, il pensiero rivolto ai poveri compagni di classe sotto le grinfie dei professori, il piacere di passare la mattinata fuori dalle fredde mura della scuola e, infine, la nonchalance di rispondere “niente” alla classica domanda “cosa hai fatto oggi a scuola?” dei genitori.
Ah la ricreazione, il momento più bello di tutta la giornata scolastica. In quei 15 minuti si poteva mangiare (almeno consensualmente, perché quasi tutti abbiamo mangiato di nascosto durante la lezione mentre il prof. spiegava), parlare con gli amici delle altre classi, riempirsi gli occhi guardando la cotta adolescenziale o passare pochi minuti in compagnia del/la moroso/a. Oppure, in casi estremi, si poteva sfruttare quel quarto d’ora per copiare i compiti o ripassare per l’interrogazione dell’ora successiva.
Finita la ricreazione, l’unico momento di interazione della giornata era il cambio dell’ora. Al suono della campanella si usciva in corridoio per socializzare con i vicini di classe. Altri si dirigevano alle macchinette per riempirsi le tasche di snack.
Ansia, panico, ripasso in fretta e furia anche dell’indice del libro. Nella testa, però, un solo mantra ripetuto a manetta: “fai che il prof. non ci sia”. E a volte la fortuna girava dalla nostra parte: il prof. era davvero assente. In classe partiva il trenino seguito dai cori da stadio e ci si abbracciava per la felicità. L’ora buca veniva impiegata dialogando tra compagni oppure giocando a “nomi, cose e città”. I secchioni, invece, se ne stavano in disparte a studiare per il giorno successivo. Alle superiori l’ora buca era una manna dal cielo che ribaltava completamente l’esito della giornata. Totalmente differente è l’analoga situazione all’università, dove l’assenza senza preavviso di un professore non viene accolta con tanta gioia dagli studenti.
L’inizio dell’anno scolastico era quasi sempre circondato da momenti di tensione che sfociavano in scioperi da parte degli studenti che, armati di striscioni e megafoni, scendevano in piazza per protestare. Lunghi cortei di giovani manifestanti occupavano le vie principali del traffico urbano. L’adesione allo sciopero segnava il primo segno di partecipazione attiva alla vita cittadina. Tuttavia, specialmente al biennio, quando il liceo era visto come un mondo del tutto nuovo, le motivazioni dello sciopero non sempre erano note o ben chiare. Aderire significava principalmente due cose: assentarsi da scuola e far casino con altri studenti. Allo sciopero seguivano giorni di autogestione, passati più ad oziare che a fare altro.
Il momento più atteso dell’anno era senza dubbio la gita scolastica, nonché uno dei ricordi più belli di tutto il percorso scolastico. Si partiva conoscendo solo i compagni di classe, si ritornava amici di quasi tutti gli studenti della scuola.
È stato il nostro più fedele amico. Ci ha supportato e sopportato per cinque interminabili ore per sette giorni alla settimana. Abbiamo condiviso il banco, il cibo, il libro e a volte le risposte al compito in classe. Il compagno di banco è la persona con cui abbiamo parlato di tutto, soprattutto durante le spiegazioni dei prof., con cui abbiamo riso, pianto e studiato. Con lui abbiamo creato un legame speciale, quasi familiare. Ma, come a volte accade, con la fine del liceo le strade si dividono e dei momenti passati con il nostro compagno di banco non resta che un bel ricordo. All’università è difficile instaurare un rapporto con tutti i colleghi. Con alcuni lo si crea in occasione di un imminente esame, con altri invece non ci si rivolge mai la parola. Riuscire a fare gruppo all’interno del mondo universitario è una fortuna riservata a pochi. Il rapporto con gli altri diventa quasi più empatico e non manca la rivalità. Un altro elemento è anche la città di provenienza, in quanto, nel weekend, molti studenti fuori sede tornano a casa. Le occasioni per uscire in comitiva si limitano alla settimana, ma occhio a non fare tardi: l’indomani c’è lezione.
A scuola le vacanze avevano tutto un altro sapore. L’estate significava tre mesi di riposo tra mare, sole e amici. L’atmosfera natalizia iniziava il 21 e finiva per l’epifania, da sempre considerato il giorno per antonomasia del “studio tutto all’ultimo minuto”. Al rientro non c’erano sessioni di esami ad attenderci, potevamo davvero goderci giorno per giorno senza ansia.
Sono forse i giorni più importanti dell’anno. Il primo segna la fine dell’estate e riporta alla solita routine: la sveglia presto, lo studio, l’inverno. Con i compagni, che dopo tre mesi ci sembrano diversi, si chiacchiera dell’estate appena trascorsa, delle vacanze e delle nuove conoscenze. L’ultimo segna l’inizio della bella stagione. È preceduto da caldi giorni passati in classe senza fare granché. A soffrirne sono gli ultimi della classe che rincorrono il tempo per recuperare alcune materie. La campanella finale dà vita ad una guerra di gavettoni. Da quel momento ci si può considerare liberi da ogni libro, interrogazione o sveglia. La sensazione di felicità è inspiegabile. Con l’università l’estate assume un sapore più amaro, sa di sessione estiva, di caldo e di giornate passate più sui libri che sulla spiaggia.
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