Ministra o ministro, avvocata o avvocatessa? Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha proposto, in occasione dell’8 marzo, le “Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo e la direttiva sul lavoro fragile”. La ministra Fedeli tocca un tema molto discusso dal punto di vista linguistico e non solo, che ancora non riesce a mettere d’accordo proprio tutti in Italia.
Sono passati gli anni in cui sui media nazionali venivano diffusi strafalcioni come “la ministro”, che non rispetta la concordanza di genere e numero, propria della lingua italiana. Se da una parte il termine “ministra” pare essere stato generalmente accettato, dall’altra c’è ancora chi ha difficoltà a usare termini come “architetta” o “avvocata”.
Il Ministero italiano è il primo ad aver adottato delle linee guida, che diano consigli sull’uso del genere nel linguaggio amministrativo. L’obiettivo? “Garantire – si legge nella presentazione – sempre di più pari opportunità e rispetto dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, nonché il benessere lavorativo delle e dei dipendenti”.
I lavori sono stati guidata da Cecilia Robustelli, docente di Linguistica italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, che già nel 2013 aveva riportato alla luce la questione del linguaggio femminile grazie all’articolo “Infermiera sì, Ingegnera no?” sulle pagine online dell’Accademia della Crusca.
La prima indicazione, che si dà all’interno del documento, è quella che invita a rispettare la concordanza tra articolo e nome, perché “Così come si dice la maestra e non la maestro si dirà la ministra e non la ministro” dato che “in italiano i termini che si riferiscono a un essere umano di sesso femminile sono di genere grammaticale femminile e quelli che si riferiscono a un essere umano maschile sono di genere maschile”.
Ma nel linguaggio amministrativo capita spesso di utilizzare il maschile inclusivo, col quale si allude chiaramente sia a individui di sesso maschile che femminile. In questo caso si può optare per due strategie, secondo il Miur: quella della visibilità o quella dell’oscuramento. Nel primo caso si dirà “La dirigente/docente/segretaria Maria Rossi; il dirigente/docente/segretario Mario Rossi” o ancora “Gli alunni e le alunne oppure le alunne e gli alunni (e non soltanto gli alunni)”; nel secondo, invece, si potranno utilizzare: perifrasi prive di referenza, come “persona”, “essere” o “individuo”; nomi collettivi come “magistratura” o “corpo docente”; pronomi relativi o indefiniti, come “chiunque arrivi in ritardo”.
Queste sono le principali indicazioni del Ministero italiano sul linguaggio amministrativo, che ha deciso di affrontare un tema già portato alla luce negli anni precedenti, ma mai risolto.
“La questione della rappresentazione della donna attraverso il linguaggio, e la rivendicazione di un uso della lingua che ne permettesse il riconoscimento e la valorizzazione – si legge – fu portata alla ribalta in Italia per la prima volta in modo sistematico e critico dal noto lavoro di Alma Sabatini Il sessismo nella lingua italiana (1987) in un periodo in cui la questione della parità fra donna e uomo era centrale nella discussione politica”.
“L’obiettivo delle proposte di Alma Sabatini era invece – continua il documento – quello di valorizzare la presenza femminile e quindi di riconoscerla anche attraverso un uso inequivocabile della lingua italiana, che comprendeva la sua esplicitazione attraverso l’uso del genere grammaticale femminile”.
Alma Sabatini non intendeva nascondere o cancellare le differenze tra uomo e donna, ma al contrario riconoscerle, restituendo a molte professioni il genere femminile. Negli anni si è infatti consolidato un uso sessista della lingua italiana: ci sono alcuni mestieri a cui le donne hanno avuto accesso nell’ultimo mezzo secolo, sono gli stessi a cui difficilmente si riconosce un genere femminile.