Dal confronto con i principali paesi europei, emerge che la situazione occupazionale dei giovani italiani è quanto mai critica. La famiglia resta il principale sostegno dei giovani disoccupati o “male occupati”, nei paesi come l'Italia dove non esistono sistemi di welfare state adeguati. Ma quali sono le conseguenze della precarietà e di una prolungata convivenza in famiglia sulla psicologia dei giovani italiani?
Stando alle ultime stime dell’Eurostat, nel 2016 il tasso di occupazione dei giovani (uomini e donne) dai 15 ai 29 anni, cioè il rapporto tra gli occupati in questa fascia di età e la popolazione intera corrispondente, in Italia è pari al 28,6%. Tuttavia, tra i principali paesi europei si registrano valori diversi rispetto al tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni. Per esempio, in Grecia è pari al 27,9%, in Spagna al 33,8% e in Portogallo al 40,1%. In Germania invece raggiunge il 59,2%, in Danimarca il 64%, in Olanda al 69,6%. Ancora, il tasso di occupazione dei giovani in questa fascia di età è pari al 59,8% in Svezia, al 62,9% nel Regno Unito ed infine in Norvegia raggiunge il 59,3%.
Dal confronto tra i tassi di occupazionali giovanili nei principali paesi europei emerge che in Italia i giovani dai 15 ai 29 anni sono meno occupati che altrove. L’Italia, infatti, registra un tasso di occupazione giovanile basso, secondo solo a quello della Grecia.
La situazione occupazione giovanile in Italia risulta parecchio complessa. A fronte di un tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni che nel 2016 arrivava al 30%, bisogna chiarire le dinamiche e le cause che rendono tanto difficile la presenza dei giovani nel mercato del lavoro italiano. Il problema della disoccupazione e dell’instabilità occupazionale in Italia è una questione difficile ed articolata che deriva da una molteplicità di fattori differenti.
Bisogna, innanzitutto, evidenziare che a partire dagli anni Novanta vi è stata un’imponente crescita del lavoro temporaneo ed instabile, in seguito a normative istituzionali che hanno permesso una parziale deregolamentazione del mercato del lavoro. A partire dall’inizio degli anni Duemila, i giovani hanno faticato sempre più a trovare un impiego stabile, al contrario sono aumentate considerevolmente le assunzioni a tempo determinato, che hanno generato una condizione di instabilità occupazionale nei giovani, colpiti maggiormente nella fase di ingresso nel mercato del lavoro.
Attualmente, anche i giovani più istruiti sono esposti, nella fase di ingresso nel mercato del lavoro, allo stesso rischio, che interessa i giovani meno istruiti, di trovare un posto instabile. Le occupazioni instabili, tuttavia, lungi dall’essere esclusive della fase d’ingresso, sono ormai largamente diffuse anche nelle fasi successive, quelle che dovrebbero segnare l’ingresso dei giovani nella vita adulta, cioè oltre i 30-35 anni.
In secondo luogo, occorre tenere conto del fatto che nei paesi dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia ma anche la Grecia, la Spagna e il Portogallo, il sistema familiare funge da sostegno alla disoccupazione e alla precarietà economica dei giovani. Infatti, essere disoccupati così come avere un rapporto a termine diminuisce di molto le probabilità di uscire fuori di casa. A influenzare i modelli di residenza familiare, però, non contribuiscono solo le opportunità lavorative, ma incidono fortemente i sistemi di welfare più o meno protettivi e in gran parte anche le radici culturali e storiche di un determinato paese.
L’Italia e gli altri paesi dell’Europa meridionale, che non godono di adeguati sistemi di welfare state e di protezione del reddito, riescono a far fronte ad un’alta disoccupazione in virtù del fatto che i giovani sono mantenuti dalle famiglie di origine, mentre nei paesi dell’Europa centro-settentrionale i giovani escono presto di casa, anche perché sostenuti da buoni sistemi di protezione del reddito.
Stando ai dati Eurostat, infatti, la quota di giovani dai 15 ai 29 anni che vivono ancora con i genitori nel 2016 in Italia è pari al 83,4%. Dati simili si registrano per la Grecia (81,4%), la Spagna (81%) e Portogallo (80,7%), mentre minori sono le quote per paesi come la Svezia (41,1%), Norvegia(38,1%) e la Danimarca (35,9%). Le differenze di notano, però, ancor di più se si disaggregano i dati e si considera la quota di giovani dai 25 ai 29 anni che ancora vivono in famiglia. Se in Italia nel 2016 ancora il 66,1% dei giovani da 25 a 29 anni viveva con i genitori, in Grecia la quota raggiungeva addirittura il 70,3%, in Spagna il 60,5% e in Portogallo il 63,5%, dall’altro lato in Danimarca solo il 4,5% dei giovani in quella fascia di età abitava ancora in famiglia. Dati altrettanto buoni si registravano in Germania con il 26,7% dei giovani ancora in famiglia, il Regno Unito con il 20%, l’Olanda con il 17%, ed infine la Norvegia e la Svezia con il 9%.
Parallelamente, si registra spesso tra i giovani italiani un lungo periodo di ricerca della prima occupazione. È frequente per i giovani intraprendere dei lavoretti occasionali, secondari alla loro condizione di studenti, come si evince dalla figura dello studente-lavoratore. Tali lavori precari svolti dai giovani hanno la funzione di fornire loro una discreta autonomia economica durante gli studi o durante la ricerca di un vero e proprio lavoro, riducendo il peso dei giovani sulla famiglia, ma allo stesso tempo allungano l’attesa di entrata nel mercato del lavoro.
Ma dato che, una prima occupazione instabile o sotto qualificata può influire negativamente sulla successiva carriera dei giovani, è razionale, soprattutto nel Mezzogiorno, che un giovane istruito alla ricerca del primo impiego rimanga a lungo in attesa del posto di lavoro desiderato e conforme alle sue aspettative e al suo titolo di studio. Il comportamento di attesa del buon posto di lavoro è ancora una volta favorito dal ruolo della famiglia, attraverso una lunga permanenza del giovane nella stessa.
In Italia, inevitabilmente, la famiglia costituisce così un punto di riferimento per i giovani, ma la loro prolungata convivenza nella casa dei genitori ne ritarda l’indipendenza economica, il che comporta importanti conseguenze sia psicologiche sia sociali. La disoccupazione e l’instabilità del lavoro provocano nei giovani un profondo senso di incertezza e di insicurezza. I giovani italiani afflitti da tali problemi, si trovano a rinviare continuamente le decisioni cruciali della vita adulta, quali ad esempio il matrimonio e l’avere figli, ritardando quindi l’ingresso nella vita adulta e prolungando la fase dell’adolescenza e della giovinezza.
Tale situazione può mettere in crisi non solo la possibilità dei giovani di sviluppare un’adeguata mentalità lavorativa ma impedisce loro di sviluppare anche un certo senso di responsabilità, che gli sarà utile in futuro per affrontare qualsiasi stadio della vita, primo fra tutti l’impegno di essere genitori. In questo quadro complesso, lo smarrimento dei giovani italiani non riguarda quindi solo l’ambito prettamente occupazionale ed economico, ma l’inquietudine e il senso di incertezza pervadono ogni sfera della loro vita e delle loro relazioni sociali.
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