Uno studio della Rivista Economica del Mezzogiorno mette in luce la tendenza negativa delle Università del Sud.
Più passano gli anni, più la ricerca del lavoro per i giovani laureati somiglia sempre più a quella del Sacro Graal. Una quete misteriosa, dove i partenti lasciano tutti i loro affetti, senza sapere se mai faranno ritorno o se riusciranno a coronare un sogno che dovrebbe essere un diritto, sancito dalla Costituzione.
Si tratta di un discorso valido per tutto il territorio nazionale, ma che si applica maggiormente agli studenti che vivono nel meridione d’Italia. Gli atenei del Sud perdono iscritti, molti preferiscono trasferirsi al Nord e cercare lì maggiore fortuna, dove la laurea è più spendibile, o rinunciano agli studi.
Non si tratta del solito luogo comune, sono i dati contenuti nel nuovo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, edita dalla Svimez e diretta da Riccardo Padovani. All’interno si sottolinea come quello in atto sia un vero e proprio “flusso migratorio unidirezionale”, dal Sud verso il Nord e dal centro alla periferia.
Il tasso di proseguimento degli studi universitari (ovvero quanti diplomati si iscrivono all’università) torna a crescere nell’anno accademico 2015- 2016, dopo un trend negativo durato più di 10 anni. Nel 2016 hanno scelto di proseguire gli studi il 60,3% dei diplomati italiani, ma c’è ancora un abisso da colmare per tornare ai livelli del 2006, quando il tasso toccava il 70,7%.
Nonostante la tendenza positiva del 2016, le immatricolazioni al Sud hanno subito un vero e proprio tracollo, perdendo nel decennio 2006-2016 il 22,4% dei propri immatricolati. In regioni come il Lazio o la Sicilia, la perdita di iscritti è addirittura superiore a quella degli immatricolati residenti.
Per quanto riguarda le lauree di secondo livello, nel 2016 a continuare gli studi sono stati in 90.000, il 15% in meno rispetto all’anno accademico precedente, ma comunque leggermente di più (1,5%) rispetto al 2006, segno che l’efficacia e l’utilità delle lauree specialistiche continua ad essere messa in dubbio.
Fra le cause della crisi degli atenei del Sud, c’è stato il taglio dei finanziamenti. La spesa pubblica per l’istruzione terziaria in Italia, infatti, è pari al 0,8% del Pil, ben al di sotto della media UE (1,8%), ma fortunatamente il 2017 reca con sé delle sorprese. Tra i dati positivi, spicca la distribuzione della parte premiale del Fondo di finanziamento ordinario per le università italiane, migliorata dall’82% delle università del meridione.
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