Mille storie da raccontare. Storie di architetti, personaggi storici e sopratutto di studenti. Le sue mura racchiudono un passato ormai andato, ma vivo in chi respira ogni giorno quell’aria. Stiamo parlando della sede del DISUM dell’Università di Catania: il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena.
Il Monastero dei Benedettini è sicuramente un monumento ricco di particolari, che lo rendono magnifico e leggendario: in sé sono racchiusi diversi stili architettonici e molte storie interessanti; per questo ci siamo rivolti a chi meglio di tutti noi conosce la storia racchiusa in quel luogo monumentale, l’associazione Officine Culturali.
La costruzione del monastero può essere fatta risalire al 1558, e per poco più di un secolo ha visto diverse importanti costruzioni – ad esempio il primo chiostro, che oggi chiamiamo “di ponente” – che furono poi distrutte a seguito dell’eruzione del 1669. Chi fu ad avviare i lavori di ristrutturazione e cosa venne ristrutturato e completato?
Il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena fu costruito per volere della comunità monastica benedettina sulla Collina di Montevergine a partire dal 1558. – ci spiega Claudia Cantale, responsabile alla comunicazione delle Officine Culturali – Secondo le fonti la prima pietra viene posta il 28 novembre. Il primo cenobio si sviluppava intorno all’attuale Chiostro dei Marmi o di Ponente e presentava un seminterrato, un piano terra e un primo piano. L’edificio monastico fu attaccato dalle due catastrofi naturali che colpirono la città di Catania nel XVI sec. La prima, l’eruzione dell’Etna del 1669, si addossò sui fronti nord ed ovest del Monastero, creando molteplici lesioni strutturali e modificando le campagne circostanti. Il banco lavico si alza per circa 12 mt. Il secondo cataclisma è il terremoto del 1693, che distrusse buona parte dell’edificio monastico, uccidendo quasi tutti i monaci benedettini che lo abitavano. I monaci, nell’ambito della rinascita della città a seguito del potente sisma, avviarono la ricostruzione dell’edificio a partire dal 1702. Il nuovo assetto monastico ha previsto la ricostruzione dell’edificio distrutto e la realizzazione di un nuovo chiostro, Chiostro di Levante, dell’attuale Chiesa di San Nicolò e l’ala nord con Refettorio grande e piccolo, Antirefettorio, Cucina e Biblioteca realizzati a partire dal 1739 sul lato nord del barco lavico da G.B Vaccarini. Tra i tanti architetti impegnati nella ricostruzione si ricordano oltre a Vaccarini: Amato, Contini, Palazzotto, i Battaglia, Ittar e Battaglia Santangelo. I lavori proseguirono praticamente fino al 1866 (data della confisca), quindi possiamo considerarlo un incompiuto a tutti gli effetti.
Cosa prevedeva l’impianto di ampliamento, idealizzato da Antonino Amato, a distanza di vent’anni dal terremoto del 1693? Gli architetti Battaglia e Vaccarini, quali differenze apportarono nell’impianto?
Noi ed altri studiosi catanesi abbiamo cercato di ricostruire cosa e chi aveva modificato i progetto, quali fossero quelli iniziali, ma non basterebbe un volume intero per elencarli. Il Monastero appare in diverse carte della città di Catania con quattro chiostri, invece ne abbiamo solo due. Questo è dovuto al continuo susseguirsi di architetti che proponevano soluzioni altre rispetto a quelle precedentemente pensate. Un po’ come avviene oggi con il variare delle “tendenze” in architettura, ma anche delle esigenze o degli avanzamenti della conoscenza che permette l’introduzione di elementi innovativi, come nel caso delle Cucine del Monastero. Per il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena Antonino Amato realizzò certamente le facciate est e sud del monumentale edificio. I motivi tardo barocchi inseriti dall’architetto hanno permesso al Monastero dei Benedettini di accedere nel 2002 tra i monumenti riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’Umanità per le “Città tardo barocche del Val di Noto”. I tanti esponenti della famiglia Battaglia nei secoli al Monastero dei Benedettini realizzarono l’incompiuta facciata della Chiesa, ebbero anche l’occasione di modificare il famoso scalone di ingresso e il portale della facciata est del Monastero. A Vaccarini si devono gli ambienti di uso collettivo, Cucine, Refettori, Gabinetto dell’Abate, Antirefettorio. Le ultime attività edilizie portano la firma di Mario Musumeci che realizza ad esempio la “Caffeaos” del Chiostro di Levante.
Famosissimi sono i due chiostri, di ponente e di levante: quali sono le bellezze architettoniche di spicco, che presentano i due chiostri?
Il Chiostro di Ponente, primo nucleo dell’edificio monastico, presenta un colonnato, parte della balaustrata e una monumentale fontana centrale in marmo di Carrara. Si può ancora notare il primigenio gusto tardo rinascimentale. La sobrietà dell’ambiente e la sua grandezza sono sicuramente elementi che contraddistinguono il primo Chiostro. Espone ad Ovest per cui già a partire da mezzogiorno la luce naturale lo inonda facendogli acquisire una tridimensionalità molto suggestiva. Il Chiostro di Levante, invece, è caratterizzato dall’eclettico “caffeaos” realizzato dall’architetto Musumeci. Ha un giardino con diverse specie naturali, tra cui un maestoso e secolare cipresso piantato all’inizio del XX secolo. Da questo chiostro si può accedere alla chiesa di San Nicola, attraverso una porta che si apre su nuovi scenari.
Qual è la storia delle Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero”: quando nasce il progetto e cosa prevede?
La Biblioteca dei monaci fu il grande laboratorio di conoscenza e sviluppo del sapere dell’Ordine, storicamente legato alla ‘cultura del libro’. La cosiddetta Sala Vaccarini custodiva la grande raccolta libraria, collezionando quattrocentine, cinquecentine, la celebre Bibbia miniata dal Cavallini, incunaboli e poi ancora erbari ecc ecc. Oggi si chiama Biblioteche Riunite “Civica ed Ursino Recupero” perché dopo la confisca del 1866, la biblioteca entra nelle proprietà del Comune e viene destinata ad accogliere la biblioteca Civica. Giungono le raccolte librarie dei conventi soppressi e i lasciti, quali ad esempio quelli della famiglia Recupero. Attualmente la biblioteca si costituisce di ambienti un tempo destinati a funzioni diverse: l’odierna sala lettura fu il museo dei Naturalia et Artificialia dei monaci (buona parte della collezione si trova oggi al Castello Ursino), il Gabinetto dell’Abate dove è collocato il tavolo su cui si dice Federico De Roberto scrisse i ‘Viceré’; il Refettorio Piccolo in cui oggi si tengono conferenze e presentazioni di libri.
Esistono leggende legate alla storia del monastero dei Benedettini, e quali sono?
Qualcuna antica e qualcuna contemporanea. La più celebre è senza dubbio relativa alla presenza di una galleria sotterranea che unisce questo convento con quello di San Benedetto in via Crociferi, ma si tratta appunto di una leggenda. I ‘Vicerè’ ha favorito la nomea dei ‘monaci mangioni e beoni’, ma anche in questo caso non possiamo che riferirci ad un romanzo, molto bello e anche divertente in alcune descrizioni, ma comunque il prodotto di un’opera letteraria. Oppure un’altra leggenda vuole che il corpo di Donato del Piano sia seppellito sotto l’Organo della Chiesa di San Nicola. Quelle contemporanee sono relative ad avvistamenti di fantasmi, dovute prevalentemente alla suggestione creata dalla sua grandezza e dalle sue prospettive cangianti. Per noi il Monastero è esso stesso leggenda, nel senso di luogo mitico in cui tutto può accadere: dalla magia di far giocare i più piccoli che si mescolano agli studenti universitari, al ritrovamento di nuove storie da raccontare, fino alla creazione di relazioni belle e durature. In fondo i luoghi servono a questo, a permettere lo scambio, a conoscere e conoscersi meglio, a stupirsi davanti a tanta magnificenza e caparbietà frutto del lavoro dell’uomo.
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