Un vortice di luce azzurra, realizzato dall’artista Paolo Scirpa, occupa il manifesto del 51° ciclo di rappresentazioni classiche che si sta svolgendo nel Teatro Greco di Siracusa.
Le tragedie in scena sono state definite la “trilogia del mare”, infatti ognuna di queste ha un legame con quelle onde che si infrangono sugli scogli allo stesso modo dei pensieri che si confondono nella mente. Le Supplici di Eschilo, Ifigenia in Aulide di Euripide e la Medea di Seneca sono le tre tragedie che la Fondazione Inda ha deciso di presentare al suo pubblico.
Quest’ultima, più delle altre, sembra essere l’emblema del vortice luminoso. Si assiste, infatti, a una Medea che percorre il labirinto vorticoso della sua mente; il suo viaggio inizia nel cerchio con il diametro più grande e, quindi, in quello in cui risiedono anche Giasone, i figli, Creonte e il coro. Il suo percorso è un’immersione. Medea sin dall’inizio è come un disperso che deve far ritorno a casa e questo avviene, nonostante i suoi delitti e la sua “follia d’amore”. Medea ritorna a casa quando, apparentemente sola, giunge alla fine del vortice nel quale riporta dentro sé stessa i figli.
La Medea di Paolo Magelli è quella di Seneca, ma ha il profilo della Medea di Christa Wolf. Le pagine della scrittrice tedesca tracciano il profilo della Medea interpretata da Valentina Banci. Accanto a una figura la cui personalità e interpretazione potrebbero fare di lei l’unico personaggio a calcare le scene, giungono Giasone, interpretato da Filippo Dini, e Creonte, nella persona di Daniele Griggio. Il pubblico viene condotto da questi tre protagonisti dallo spessore psicologico fondamentale per l’intero sviluppo del dramma, dalle voci del coro e dalle musiche “moderne”, di Arturo Annecchino, nella profondità del mito. Il vibrare continuo dei suoni e delle voci fa da sfondo a quello che, da sempre, è il dramma classico che rapisce gli occhi dello spettatore. L’intera rappresentazione è un’immersione non solo della protagonista, ma anche di chi assiste al dramma del dolore e dell’amore seduto come se attendesse l’eternità.
A LiveUnict Valentina Banci, Medea, ha raccontato il suo rapporto con il mondo classico di cui quest’anno è protagonista.
1. Le è stato affidato un ruolo importantissimo. Come si è preparata all’interpretazione di Medea?
«A parte la fase di preparazione di un attore e quindi studiare, leggere, rileggere e leggere anche tutta una serie di cose che possono essere attinenti al tema o ai temi di un personaggio, mi sono preparata lavorando insieme al regista nella direzione che lui so gradire e, forse, è anche il motivo per cui mi ha chiamata a fare questo ruolo, visto che ci conosciamo ormai da dieci anni. Abbiamo fatto moltissime cose insieme e in questo ruolo mi ci sono tuffata a capofitto. Lui chiedeva una partecipazione emotiva al personaggio, profonda, che cercasse delle verità e io ho cercato di mettere a disposizione di Medea tutte le mie verità, perché poi, aldilà degli atti estremi che lei compie, la nostra Medea è una donna umana. Quindi c’è sempre qualcosa di proprio da cui attingere, anche in personaggi così terrificanti, le cui azioni possono essere, spesso, vicine anche alle nostre pulsioni più intime e i nostri dolori».
2. Euripide, Seneca, Christa Wolf e molti altri autori hanno riscritto la storia di Medea. A quali letture si è accostata?
«Sicuramente alle “Medee” di estrazione mitteleuropea, ovvero del ‘900, iniziando da quella di Heiner Müller che è anche nel nostro testo. Paolo Magelli ha fatto un’ interpretazione drammaturgica del testo di Seneca, tradotto da Picone, e rielaborandolo ha inserito alcuni elementi di Müller. Quindi sicuramente la sua Medea, ma anche quella di Christa Wolf. Questa sicuramente in un modo intimo e personale. Non direi che l’ho letta, l’ho proprio bevuta. Me la sono messa sotto pelle, perché il suo è il punto di vista di una donna oltraggiata e innocente. La nostra non è innocente, perché si copre del delitto dei figli ma, come ci siamo sempre detti con Magelli, è una donna che preserva la propria innocenza perché muore e decide di far morire i figli per salvarli da un mondo che lei disconosce e assoggettato alle logiche del potere maschile. Sicuramente tutte le “Medee” del ‘900 sono state di fondamentale ispirazione, anche perché Seneca è un autore molto amato dagli autori di quel periodo e in qualche modo è il precursore di una forma del teatro moderno legato all’ espressionismo, infatti è stato poi studiato e approfondito anche alla luce della psicanalisi del primo ‘900. Si sente, con le aggiunge drammaturgiche di Müller, che è un materiale che si amalgama bene con la modernità».
3. Medea ha un legame particolare con Giasone, il sentimento che nutre nei confronti del marito la conduce alla “follia per amore” e, forse, è un sentimento non ricambiato con la stessa forza. Come avete sviluppato questo rapporto e cosa pensa di questo loro legame?
«Credo che dalla lettura di questo spettacolo venga fuori, in realtà, un passato di grande passionalità tra loro. Non è messo in dubbio l’amore di Giasone per Medea, infatti, credo che venga fuori anche una certa similitudine tra questi due caratteri passionali e vigorosi che si sono trovati. Parlare d’amore è un po’ riduttivo, quello che hanno condiviso è stato un ideale grandissimo che li ha portati all’apertura del mare, al mischiarsi di due culture e conoscenze. Chiamarlo amore nel nostro senso è restrittivo, viene fuori una grande somiglianza tra loro e vivono, anche, un rapporto molto fisico sulla scena che richiama gli echi di una passione poi tradita dalla seduzione del potere. Infatti Giasone afferma “ho paure del potere dei re” e lei risponde “stai attento a non desiderarlo!”. Questa è la grande differenza tra di loro. Lei è una donna libera, anarchica, una madre terra legata alla forza cosmica della natura, questa natura che crea e distrugge, infatti uccide i figli, ma li uccide facendoli rientrare nel grembo. Lui è un uomo assoggettato completamente alle logiche del potere sociale. C’è uno scontro tra un femminile primordiale e la logica maschile».
4. Cosa ha provato quando ha saputo che le era stato affidato il ruolo di Medea?
«Sono stata emozionata, anche un po’ impaurita in un primo momento, ma sicura del lavoro con Magelli, che conosco da molti anni e, quindi, sapevo che desiderava una Medea che potevo interpretare proprio nella direzione in cui questa conoscenza reciproca mi permetteva di stare tranquilla. Nella mia veste d’attrice ho fatto tante cose con ruoli molto grandi, ma ho anche lavorato in un teatro che possiamo definire di “nicchia”. Questo personaggio, desiderato da tutte le più grandi star d’Italia mi spaventava, ma mi divertiva che un outsider così, improvvisamente, arrivasse a Siracusa a fare Medea. Poi c’è stata la magia dell’incontro con il pubblico che ci ha ripagati tutti di un grande affetto, amore ed emozioni. Questo a sostegno della tesi che non esistono personaggi irraggiungibili, se lo porti a te e ci metti l’anima il personaggio è lì che ti aspetta».
5. Quando entra in scena cosa le trasmette il pubblico?
«Credo sia l’esperienza più bella in assoluto, ho avuto platee molto importanti in quanto ho lavorato all’estero dove i teatri sono molto frequentati e c’è un sentimento per l’arte teatrale ancora sacro rispetto all’Italia, dove è diventato un po’ una roba per pochi appassionati. Nessuna esperienza può essere paragonata a questo. Inoltre è un pubblico bello perché eterogeneo, quindi hai l’intellettuale ma anche chi ha voglia di farsi sorprendere. Il numero degli spettatori, questa luce del giorno che permette di vedere tutti è stata un’emozione e continua ad esserlo tutte le sere, perché qua è sempre una prima. Stai due giorni ferma e poi ti ributti lì dentro quasi vergine dell’esperienza e, quindi, credo non ci si possa abituare. Trasmette un’energia meravigliosa e quindi ringrazio veramente gli dei!».
6. Con i tuoi colleghi si è creato un bel rapporto?
«Bellissimo, abbiamo fatto un lavoro d’ensemble. Sembra un ruolo solitario quello di Medea, ma non lo è. Magelli è uno che lavora sul gruppo. A questo si aggiunge il grande lavoro che il coro ha fatto con il maestro Arturo Annecchino che è la tessitura portante dell’intero spettacolo. Il coro inizialmente è nemico di Medea e, poi, giunge a essere quasi il suo pensiero e interiorità. C’è una magia e uno sviluppo di questo coro che ad un certo punto entra a far parte di me. Siamo tutti una stessa cosa e questo credo si senta nello spettacolo. Con gli altri attori si è creata subito una grande sintonia, con Filippo Dini (Giasone) che non conoscevo, ma che stimo da diversi anni, con Daniele Griggio, un grande attore che deve essere riscoperto dall’Italia, con cui ho lavorato diversi anni fa e che ho ritrovato. Magelli è un regista che lavora molto sul gruppo e questo ripaga molto perché arriva un’energia nuova soprattutto sugli spettatori giovani».
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