La famiglia Bélier è un film che può trarre in inganno; la sua campagna pubblicitaria, dotata di tanta energia ma poca sostanza, con la tagline vagamente inquietante “Un film che vi farà bene”, si associa ad un incipit e a delle premesse da teen movie, con tanto di musica giovane durante i titoli iniziali e un setting che sembra una sfilata di cliché. Ma, passati i primi minuti, si afferma come una bella scoperta.

 

Lo scettro nella produzione di commedie appartiene ai francesi.

Ce lo aveva già dimostrato nel 1998 il regista e sceneggiatore Francis Veber con La cena dei cretini; ha rincarato la dose dieci anni dopo Dany Boon e il suo Giù al nord (non tutti sanno che l’acclamatissimo Benvenuti al sud ne è un remake che di trovate originali ne ha poche); la storia si continua a ripetere ancora e ancora nel 2011 col successone internazionale di Quasi amici – Intouchables e nel 2012 col piacevolissimo Cena tra amici, accompagnato anch’esso da un ennesimo discutibile remake italiano a poco più di due anni di distanza. Ora è il turno de La famiglia Bélier, commedia un po’ atipica rispetto alle sopracitate e della quale, anche e soprattutto in virtù di questa atipicità, è fortissima la speranza di non vederne mai un remake italiano.

Ammettiamolo, i minuti d’esordio non sono esattamente entusiasmanti. Veniamo introdotti nella vita di Paula, tipica ragazzina incompresa, timida a scuola, in via di definizione della sua identità, innamorata segretamente del compagno di scuola, il bel tenebroso Gabriel col quale, come da prassi, non ha mai scambiato due parole; perfino l’attrice che la interpreta fa poca simpatia a pelle e sembra la cosiddetta “solita faccia”, una tale Louane Emera, giovanissima e dal curriculum dubbio, qui alla sua prima esperienza recitativa dopo aver conquistato fama e visibilità con la partecipazione all’edizione francese di The Voice.

A creare una variazione al canonico manuale del film Disney per teenager è fortunatamente proprio la Famiglia in quanto entità ed identità, e in questo caso, la Famiglia come varietà, tale da rinnovare un interesse dissipatosi per buona parte nei primi minuti. Ci viene quindi presentata la  famiglia Bélier del titolo, composta dalla madre, dal padre e dal fratello di Paula, contadini ed allevatori, residenti in una fattoria molto carina e pittoresca, e tutti e tre incapaci di parlare. Paula è la mosca bianca in un nucleo familiare di non udenti, per la precisione lei è l’unico mezzo di comunicazione che la famiglia possiede ed utilizza costantemente per relazionarsi col mondo esterno, che nella maggioranza dei casi non conosce il linguaggio dei segni. Alle situazioni vivaci che derivano da questa premessa, si aggiunge un altro risvolto nella  trama. Paula, cercando di avvicinarsi al ragazzo da cui è attratta, amante del canto, finisce per iscriversi al coro della scuola ed è qui che scopre di avere una voce straordinaria.

Da questo momento in poi  l’ossimoro voce-sordità reggerà l’equilibrio di un film dalla sceneggiatura finalmente più consistente, adattata dal libro di Véronique Poulain e scritta da Thomas Bidegain (sceneggiatore tra le altre cose di alcuni ottimi film del regista Jacques Audiard, come Il profeta e Un sapore di ruggine ed ossa). Sceneggiatura che non accenna mai a fare finto buonismo o a guardare con pietà alle tematiche trattate, ma che anzi rende la diversità un qualcosa di normale, creando il giusto contatto con lo spettatore, permettendogli di comprendere le situazioni che gli si svolgono davanti agli occhi, ma allo stesso tempo di riderne e sorriderne, apprezzando le varie gag, sia verbali che non, in un sentiero di comicità mai scavalcata da altro, al massimo da un po’ di emozione ogni tanto.

Anche la suddetta emozione non è imperniata su facili e immediati messaggi a soggetto disabilità e diversità, venendo portata avanti dai personaggi e dai loro rapporti, nonché dai loro conflitti e i loro punti in comune. In questo, il regista Eric Lartigau riesce perché si avvale di un cast efficace e versatile che, al di fuori della giovanissima Loaune Emera, eccellente sul lato canoro ma che, in sede di un’impressione finale, dimostra di sapersela cavare anche nel recitare, poggia sui due genitori – interpretati dagli attori Karin Viard (Potiche, La moglie del cuoco) e François Damiens (Niente da dichiarare? e Asterix e Obelix al servizio di sua maestà) – sordomuti soltanto nella finzione e preparatisi per i loro ruoli imparando il linguaggio dei segni ed esercitandosi nella mimica e nell’autentico attore audioleso Luca Gelberg, che interpreta il fratellino di Paula.

Lartigau si impegna parecchio, inoltre, nel bilanciare un prodotto che si vede essere stato molto confezionato, utilizzando quella certa aura di genuinità di cui spesso fanno uso i lungometraggi francesi, sfruttando gli splendidi e caratteristici ambienti di campagna e non risparmiando i riferimenti al vecchio buon vivere delle province francesi, mantenendosi distante in tutto dallo style da metropoli, con una Parigi che appare soltanto per pochi secondi nelle fasi finali del film, più che altro per necessità di coerenza nella storia, venendo immediatamente esorcizzata dalla canzone popolare Je vole di Michel Sardou (illustrissimo cantante pop francese dal sapore vecchio stampo).

C’è, in definitiva, una certa soddisfazione nel vedere ogni tanto in sala un film rivolto a tutti e che da tutti può essere assaporato, e intriso di tematiche e situazioni che seppur affrontate col giusto equilibrio tra tatto e leggerezza, rimangono comunque un po’ spinose. A tal proposito è giusto citare che, nonostante i sette milioni di spettatori guadagnati soltanto in Francia e le nomination e le vittorie al Premio Cesar e al Premio Lumière (importanti festival cinematografici francesi) il film ha avuto una ricezione e alcune critiche prettamente negative da parte di molti attori e comunità sorde non soltanto francesi ma anche internazionali, che hanno rimproverato alla pellicola la creazione e diffusione di una serie di stereotipi e l’hanno di conseguenza considerato offensivo.

Ad ogni modo, per quanto ci riguarda, La famiglia Bélier fa il suo dovere sia cinematograficamente, concedendoci anche qualche tocco di regia particolarmente piacevole e riuscito, che musicalmente, avvalendosi di una colonna sonora gradevolissima e di buone voci, confermandosi, infine, anche emozionalmente, come una visione deliziosa e consigliata.

Daniele Di Stefano

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