«Io ho il cancro! Dirlo come si dice o si direbbe ho la polmonite, ho l’ epatite, ho una gamba rotta. Io faccio così e, a fare così, mi sembra di esorcizzarlo». Con queste parole Oriana Fallaci parla della sua malattia, il cancro al seno, che ha affrontato ogni giorno con rabbia, ma soprattutto con la forza di chi ancora dalla vita voleva qualcosa. Il suo oncologo ha raccontato che l’unica cosa che chiese, quando le venne diagnosticata la malattia, furono due anni. Ha chiesto solo di avere ancora del tempo necessario per ultimare il suo romanzo, che sarebbe stato pubblicato, tuttavia, postumo. Il suo medico, Virgilio Sacchini, racchiuse la sua storia tra le 35 raccontate nel libro “Dai sempre speranza”, edito da Mondadori. Ha raccolto le storie dei suoi pazienti, della loro malattia e le lezioni di vita ricevute da questi. Il suo libro rientra all’interno del filone letterario e medico sviluppatosi dalla fine degli anni Novanta, grazie a Rachel Naomi Remen e Rita Charon.
A LiveUnict il dott. Antonio Virzì, presidente della Società Italiana della Medicina Narrativa, spiega cosa significa e cosa è la Medicina Narrativa, dandoci anche qualche anticipazione sul Primo Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Narrativa “La narrazione anima della medicina”, che si terrà a Ragusa Ibla dal 18 al 20 marzo.
1.Quale definizione possiamo dare alla “Medicina narrativa”?
«Può essere definita come un orientamento culturale che attribuisce un’importanza fondamentale alla storia del paziente e alla sua narrazione all’interno del rapporto medico paziente. Non è una medicina alternativa, ma la riscoperta del ruolo della narrazione all’interno di una medicina che è sempre più tecnologizzata. Ci si è resi conto che i vissuti del paziente, che possono emergere solo dalla conoscenza e dal racconto della sua storia, sembrano non rientrare più tra gli interessi del medico, tutto si basa sugli esami e si parla sempre meno con il paziente o se si parla con lui è solo per raccoglierne i sintomi. La Medicina Narrativa nasce dall’esigenza del paziente di essere ascoltato. Attenzione però a non confondere la storia della persona con l’anamnesi, infatti si tratta di due cose molto diverse. Un esercizio utile che proponevo per gli studenti era quello di raccogliere due storie parallele dello stesso paziente: una era quella costruita sui sintomi del paziente, su diagnosi, esami, terapie, in pratica la storia della malattia; l’altra era quella relativa alla vita del paziente e ai cambiamenti che la malattia determina anche nelle piccole cose di tutti i giorni. Sono due storie diverse, ma vissute dalla stessa persona».
2. Rapportarsi con il medico può aiutare un paziente ad affrontare la malattia?
«Non c’è dubbio che un giusto rapporto medico-paziente è un grande aiuto per il paziente anche se non garantisce la guarigione. Ricordiamoci che affrontare la malattia non significa solo un confronto fra terapie e cellule malate, ma affrontare una serie di scelte, mediche ma soprattutto di vita. Il paziente non può essere lasciato solo proprio nelle situazioni più difficili Basta pensare all’importanza di un’informazione completa, senza la quale non può esistere una scelta consapevole. Segnalo un altro aspetto spesso trascurato: anche il medico ha bisogno di conoscere il paziente per decisioni apparentemente solo “cliniche”. Provo a fare un esempio concreto. Se si deve operare una donna all’utero, in una situazione nella quale possono esserci margini di discrezionalità, non ci si può basare solo sulle statistiche, ma è necessario conoscere anche la storia di quella donna. Ci si deve chiedere se ha già avuto una gravidanza, se ha il desiderio di avere un figlio, qual è la sua situazione affettiva, che scelte e che rinunce ha fatto. Solo sapendo tutto questo, paure e desideri, si può aiutare il paziente a decidere».
3. Nella facoltà di Lettere e Filosofia di Catania una docente ha inserito nel programma di Letteratura italiana moderna il testo “Vite dopo la tempesta”, suscitando l’interesse dei suoi studenti. Da ex docente di Psichiatria del Dipartimento di Medicina e Chirurgia di Catania ritiene utile l’inserimento di un eventuale laboratorio obbligatorio che faccia conoscere questa nuova “terapia” ai futuri medici? E soprattutto quanto può essere utile per la loro formazione di medici e uomini?
«È fondamentale e utilissimo, ma aggiungerei alcune cose. In letteratura, morte e malattia sono molto presenti, ma l’interesse del lettore spesso si indirizza ad altro quasi a proteggersi dalla sofferenza che queste possono evocare e può essere utile riproporre anche alcuni classici sotto una luce diversa per scoprire aspetti assolutamente trascurati o sottovalutati. Ad esempio in “Mastro don Gesualdo” di Giovanni Verga, la malattia è molto presente, ma al lettore spesso fugge. Questo è dovuto a una forma di negazione della malattia da parte di chi legge. Un altro testo è “La cittadella” di A. J. Cronin”, molto conosciuta per l’adattamento televisivo con la partecipazione di Alberto Lupoche fu prodotta anni fa. Al centro la figura di un medico, eroico quando giovane ed inesperto, che cambia quando diventa famoso. Questo è uno dei tanti esempi di come la medicina sia presente in letteratura, e segnalo anche un altro libro, che dovrebbe essere obbligatorio per tutti i medici, “La morte di Ivan Il’ič” di Lev Nikolaevič Tolstoj. È la storia di un paziente, raccontata dalla comparsa dei primi incerti sintomi sino alla sua morte. Il tema centrale è quello della menzogna, della mancanza di informazioni fino alla fine. Mi permetto di citare anche un mio saggio: “Il malato senza nome”, edito dalla Franco Angeli, una rivisitazione del “Tailleur grigio” di A. Camilleri. Riportando diversi brani di questo libro ricostruisco la storia del personaggio che non ha un nome, pur rappresentando per me il personaggio principale. Se si legge la recensione, a emergere come protagonista è invece la moglie.
L’esempio letterario al quale lei si riferiva nella domanda è un’area nuovissima. Una volta la malattia non si raccontava, perché era qualcosa che si doveva tenere nascosta. Oggi non è così. Si comunica e si scrivono i libri, ma non hanno nulla a che fare con la letteratura. Sull’onda emotiva del dolore molte persone riescono a scrivere, ma questa ispirazione è di breve durata. Credo che il valore più importante di queste opere sia il fatto che si tratti di “confessioni” che possono anche essere condivise ma che non raggiungono quasi mai il valore di opera d’arte. Bisognerebbe valutare se siano più utili le storie inventate o quelle personalmente vissute. In libreria ormai troviamo molti testi di questo nuovo filone letterario, ma perché avere questo quando già abbiamo grandi esempi letterari? Una via di mezzo è Tiziano Terzani, con “Un altro giro di giostra”. Le sue sono pagine di un giornalista e scrittore che scrive la propria storia di malato. I medici devono riprendere a leggere. Molti degli iscritti in Medicina, vengono da una cultura umanistica, ma hanno smesso di leggere quando si sono iscritti all’università. Alcuni ne sentono la mancanza, la letteratura è un ottimo spunto per avvicinarsi alla medicina. Capire i disturbi del malato attraverso l’invenzione letteraria aiuta. E questo vale anche per il cinema. Molti esempi sono stati raccolti infine in“Medicina e narrativa. Un viaggio nella letteratura per comprendere il malato e il suo medico”, edito dalla Franco Angeli».
4. A marzo si terrà il Primo Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Narrativa “La narrazione anima della medicina”, può illustrarci quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere con questa iniziativa?
«Il Congresso vuole sottolineare l’importanza della narrazione nelle varie branche mediche
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