Ornella Bertorotta, nata a Catania eletta senatrice per il M5S. Prima domanda : ci descriva brevemente la sua esperienza parlamentare: sensazioni, sorprese e il gap (se c’è) tra istituzioni e popolo (la famosa “nebbia sì folta tra piazza e palazzo” di Guicciardini per intenderci).
Bisogna operare nelle istituzioni e cercare di farlo al meglio per non diventare spettatori della propria impotenza… Una cosa è il pane, altra cosa il lievito, sosteneva Miguel de Unamuno. Le istituzioni troppo spesso sono pensate, considerate, addirittura evocate come «pane», ma dovrebbero essere il «lievito»: ciò mediante cui è possibile dare forma e sostanza a una idea di società. Io credo nel «microimpegno», nel ripristino della legalità, nella volontà dei cittadini, nel desiderio di cambiare che viene dal basso. A volte le rivoluzioni o le grandi trasformazioni sono generate da piccoli gesti, come fu per Rosa Parks, la donna di colore che il 1° dicembre del 1955 sconfisse, per così dire, la segregazione razziale contravvenendo alle regole con un semplice gesto, rifiutandosi di cedere il proprio posto in autobus a un uomo bianco…
Lei fa parte della Commissione Bilancio, ci dica se c’è o meno, secondo lei, la volontà di questo governo di investire su ricerca e università, e se sì, cosa si è fatto a tal proposito.
«Dei buoni propositi…», recita un vecchio adagio con ciò che ne consegue. Credo di poter affermare che quanto dichiarato al principio del suo mandato dal presidente del Consiglio nel salotto di Fabio Fazio sia stato quanto meno un po’ avventato. Un Paese che non cresce culturalmente è un Paese incapace di pensare e immaginare il futuro. È ampiamente dimostrato che investire in cultura (vale a dire in istruzione, ricerca e conoscenza) rende più di qualsiasi altro investimento… Pure l’universo culturale nel suo complesso rimane la vera Cenerentola italiana. Non solo non si investe abbastanza (i recenti provvedimenti, «Valore cultura» e «decreto Scuola», più che a colmare un vuoto sono serviti a evidenziare un ritardo…), ma l’Università – che ha subito un costante e progressivo livellamento verso il basso – assomiglia sempre più al vecchio liceo; e conseguentemente, purtroppo, si sta compromettendo in via definitiva quello che è stato il fiore all’occhiello del nostro sistema scolastico, che all’estero ci hanno sempre invidiato, vale a dire il liceo classico tradizionale.
Quanto incide la voce “università e ricerca” sul bilancio statale?
La domanda è interessante anche se tecnicamente non è possibile rispondere se non con buona approssimazione. Le posso dire che – all’interno del bilancio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, come «previsione» per l’anno 2014 – l’Istruzione scolastica genera una spesa per poco più di 41 miliardi, l’Università per poco più di 7 miliardi e mezzo, la ricerca per due miliardi scarsi. Siamo, a conti fatti, poco al di sopra dei 50 miliardi complessivi. Il bilancio dello Stato ammonta com’è noto a circa 880 miliardi. La proporzione, con tutte le cautele del caso, è semplice. Tuttavia, di là dal balletto delle cifre o dal computo del ragioniere, mi preoccupa molto di più quanto poco incida la voce “lettura” nel costume degli Italiani. I vecchi, con la loro saggezza, sostenevano che per fare i soldi ci vuole capacità ma che per spenderli ci vuole cultura… La qual cosa naturalmente dice molto sulla politica berlusconiana e sulla visione miope che vi sottostà : trasformare il cittadino consapevole in un consumatore manovrabile… Prim’ancora che nella formazione dei giovani, ch’è un compito essenziale, Scuola, Università, ricerca, lettura, conoscenza servono a non farci attraversare con indifferenza i giorni della nostra vita.
Tra gli stati Ocse siamo 30esimi (su 33) per spesa (%PIL) per l’università, ultimi come spesa per l’istruzione in rapporto alla spesa pubblica, mentre solo l’Ungheria ha fatto peggio in sede di tagli all’istruzione . Una chiara volontà dei governi, passati e recenti ,di favorire il settore privato(con i benefici sul bilancio statale) ,o esigenza dettata dalla precaria situazione economica ?
Indubbiamente la coperta è corta… Un obbrobrio come la Riforma Gelmini è stata fatta solo considerando il risparmio ottenuto nei diversi capitoli di spesa. Non c’era alcun progetto organico, se non l’esigenza di tirare i cordoni della borsa… Cosa voglio dire? Che uno dei frutti più evidenti della crisi è che le riforme non vengono più pensate e realizzate per ampliare il numero di coloro che possono usufruire di determinati servizi, ma solo per risparmiare! Senza dimenticare che ciò accade in una dimensione europea e globalizzata a più ampio spettro in cui sono le derive macroeconomiche a incidere sempre più, a discapito di una indebolita governance della politica. È esattamente dentro questa frattura che, con le difficoltà che ne derivano, che il MoVimento 5 Stelle sta cercando di operare.
Nel vostro programma elettorale di Febbraio , leggo un punto molto interessante: Integrazione Università/Aziende . Ci saranno vostre future azioni parlamentari a tal riguardo? Per di più, dove volete che il governo tagli per investire nuove risorse su questo aspetto, visto l’incombente vincolo del pareggio di bilancio ?
A costo di sembrare un disco rotto credo che vi siano buoni margini per recuperare risorse innanzitutto dai costi della politica, su cui siamo impegnati in prima linea chiamati come ci siamo sentiti a combattere una battaglia “di trincea”… Non serve, a mio avviso, sparare troppo in alto: vi sono una serie di sprechi (dagli Enti inutili a talune sacche della Pubblica amministrazione, dai finanziamenti all’editoria e ai partiti ecc.) che potrebbero, una volta sanati, essere riconvertiti in una moneta buona. In questo Paese è diffusa una moneta cattiva, che non compra. Parlavamo prima dei circa 50 miliardi che – riguardo a Scuola, Università e ricerca – sono l’investimento previsto per il 2014. L’evasione fiscale ammonta a circa 130 miliardi. Ciò che sorprende è dover constatare che c’è ancora chi si ostina, in questa situazione, a decorare le cabine di una nave che affonda…
Sempre nel vostro programma viene messo in risalto il connubio internet-università: accesso pubblico via internet alle lezioni universitarie, insegnamento a distanza via internet principalmente. E giocoforza, per attuare questo punto ,bisogna avere i mezzi. Il recente maxi emendamento di bilancio include lo stanziamento di 20 milioni di euro per la banda larga in Italia. Una somma irrisoria (visto anche le carenze sul territorio rispetto alla media UE) o un primo passo apprezzabile verso la modernizzazione delle telecomunicazioni su ampia scala?
Irrisoria è stata l’intera manovra di bilancio: quella per intenderci che veniva definita «Finanziaria» e che ora si chiama «Stabilità». Come ben sapete l’importo complessivo di tale manovra – non dimentichiamolo perché è un dato importante: prodotta nell’ambito di un Governo di «larghe intese» – è stato inizialmente fissato a 10 miliardi , una cifra che fa pensare più al piccolo cabotaggio sottocosta, non a chi voglia alzare le vele e attraversare un mare… È sciocco pensare che Internet sia la risposta a tutto, che si possa considerare di per sé la panacea di tutti i mali: tuttavia si tratta di un mezzo essenziale e formidabile per la comunicazione, il lavoro, la diffusione del sapere. È, insomma, altrettanto miope non capire – entro quell’impaludamento e quella stasi di cui sembra prigioniero l’attuale Governo – che investire 20 milioni sulla banda larga significa destinare briciole alla costruzione della strada che ci proietta verso il futuro. Nella fattispecie avrei desiderato un investimento venti o trenta volte superiore: un segno di intraprendenza e coraggio che invece si è tramutato puntualmente nell’ennesima attesa delusa.
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