
Pensione anticipata a 60 anni con riscatto della laurea a un costo simbolico di 900 euro l’anno, invece degli attuali 6mila. È questa la proposta della senatrice Carmela Bucalo (Fratelli d’Italia), sostenuta dall’Anief con oltre 120mila firme raccolte, che promette di cambiare la vita a insegnanti, dirigenti e personale Ata. Un disegno di legge che interessa un comparto da 1,2 milioni di lavoratori, tra i più anziani d’Europa, ma che potrebbe aprire un duro confronto politico ed economico.
Il cuore della riforma è duplice: da un lato la possibilità per il personale scolastico di lasciare il lavoro a 60 anni, dall’altro il riscatto della laurea low cost. Oggi riscattare un anno di università costa in media 6.076 euro; con la nuova formula basata su un’aliquota ridotta al 5% si scenderebbe a 900 euro annui.
Per gli uomini il requisito contributivo sarebbe fissato a 37 anni, per le donne a 36. Un cambiamento significativo, che intercetta un malessere noto nel settore scolastico: carichi di lavoro, burn out, precarietà e una lunga attesa prima della pensione.
La misura non riguarderebbe solo il personale di ruolo: la platea includerebbe anche precari, supplenti e ricercatori universitari.
L’uscita anticipata avrebbe però un prezzo. Contributi più bassi significherebbero inevitabilmente pensioni più leggere. In base alle simulazioni, i tagli sugli assegni potrebbero arrivare fino a 200 euro al mese.
La convenienza dipenderebbe molto dalla storia contributiva individuale. Per alcuni l’anticipo potrebbe valere il sacrificio economico, per altri no. Resta poi la questione della sostenibilità per i conti pubblici: con oltre un milione di beneficiari, l’impatto sarebbe tutt’altro che marginale.
Per capire meglio, proviamo a tradurre in numeri, prendendo come esempi concreti quelli riportati da La Repubblica:
Maria, insegnante con 32 anni di contributi e 4 di laurea. Oggi dovrebbe lavorare fino a 64 anni. Con la proposta Bucalo, riscatterebbe i 4 anni con 3.600 euro complessivi e potrebbe uscire a 60 anni. La pensione però scenderebbe da circa 1.550 a 1.350 euro al mese: 200 euro in meno, ossia 48mila euro di riduzione su vent’anni.
Luca, professore di matematica con 33 anni di contributi e una laurea quadriennale. Oggi sarebbe costretto a restare fino a 64 anni. Con il riscatto agevolato, anche per lui basterebbero 3.600 euro per aggiungere gli anni mancanti, raggiungendo i 37 richiesti. Potrebbe smettere di lavorare a 60 anni, con una pensione stimata di 1.480 euro al mese invece di 1.650: un taglio di circa 170 euro al mese, oltre 40mila euro in meno su vent’anni.
In entrambi i casi, la vera “moneta” guadagnata sarebbe il tempo: quattro anni di vita libera dal lavoro.
Un’uscita massiccia di over 60 libererebbe migliaia di cattedre oggi coperte da supplenti. Potrebbe quindi favorire il ricambio generazionale, l’immissione di giovani docenti e nuove competenze in un settore che fatica ad affrontare la transizione digitale.
Nei principali Paesi europei l’età pensionabile resta più alta: 67 anni in Germania e Francia, mentre in Spagna e Portogallo esistono formule di riscatto, ma senza sconti così significativi. Nei Paesi nordici prevale un modello basato sulla piena contribuzione.
In questo scenario, la proposta Bucalo appare radicale: un tentativo di risolvere un problema strutturale della scuola, ma che rischia di pesare sui bilanci dello Stato.
Come sottolinea la Repubblica, la riforma rappresenterebbe una svolta tanto attesa quanto controversa: promessa di libertà e sollievo per migliaia di insegnanti, ma al prezzo di pensioni più leggere e di conti pubblici più fragili.
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