
Con una circolare ufficiale diffusa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, firmata dal ministro Giuseppe Valditara, arriva un’importante stretta sull’uso degli smartphone nelle scuole superiori italiane. Dopo il divieto introdotto nel 2024 per le scuole del primo ciclo (elementari e medie), il provvedimento viene esteso ora anche alle secondarie di secondo grado. La misura non lascia spazio a interpretazioni: vietato l’uso dei cellulari a scuola, anche per fini didattici, salvo poche eccezioni ben specificate.
Il provvedimento trova solide basi in una serie di ricerche e report internazionali che mettono in guardia dagli effetti negativi di un uso eccessivo o inappropriato dello smartphone da parte degli adolescenti.
Nel rapporto OCSE 2024 dal titolo “From decline to revival: Policies to unlock human capital and productivity”, emerge un dato allarmante: l’eccessiva esposizione a smartphone e social media è direttamente correlata a un calo nei risultati scolastici, in particolare nei test PISA. Il fenomeno si configura come una vera e propria emergenza educativa.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo rapporto 2024, documenta un “notevole incremento” dell’uso problematico dei social media tra i giovani. I sintomi descritti sono tipici della dipendenza: perdita di controllo, astinenza, trascuratezza delle attività quotidiane. A questo si aggiunge l’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui oltre il 25% degli adolescenti italiani fa un uso problematico dello smartphone, con ricadute su sonno, concentrazione e relazioni sociali.
Le Istituzioni scolastiche sono ora chiamate ad aggiornare i propri regolamenti interni e il patto di corresponsabilità educativa, prevedendo sanzioni disciplinari specifiche per chi infrange il divieto. Ogni scuola, secondo la propria autonomia, potrà decidere le modalità organizzative più adatte per garantire il rispetto della norma.
La misura non si limita alla repressione: accanto al divieto, si prevede un rafforzamento dell’educazione all’uso responsabile delle tecnologie digitali. L’obiettivo dichiarato non è solo “togliere” uno strumento, ma aiutare i ragazzi a sviluppare consapevolezza e senso critico nel loro rapporto con la tecnologia.
Non mancano, tuttavia, delle eccezioni previste dal Ministero. In particolare, lo smartphone potrà continuare a essere utilizzato dagli studenti con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento, nel caso in cui il dispositivo sia indicato nei piani educativi personalizzati (PEI o PDP).
Un’altra eccezione riguarda gli istituti tecnici e professionali con indirizzi legati all’informatica, alle telecomunicazioni o alla progettazione digitale. In questi contesti, lo smartphone può essere usato come strumento di lavoro, ma esclusivamente nell’ambito di attività didattiche pianificate.
Resta infine la possibilità di autorizzazione per “motivate necessità personali”, da valutare caso per caso dalla dirigenza scolastica.
Importante precisare che il divieto riguarda esclusivamente gli smartphone. Restano invece autorizzati l’uso di computer, tablet e lavagne interattive, purché utilizzati con finalità didattiche. In questo senso, la Scuola Italiana continua a promuovere un ambiente tecnologicamente aggiornato, ma regolato e sorvegliato.
L’intento è quello di favorire un uso consapevole e formativo delle tecnologie, evitando la distrazione e l’isolamento tipici dell’uso personale dello smartphone. Si cerca un equilibrio tra innovazione digitale e benessere psicofisico degli studenti.
Il ministro Valditara aveva già anticipato il provvedimento durante una puntata del programma “5 minuti” su Rai1. “Quest’anno è andata molto bene – ha dichiarato –. Grande consenso da parte di docenti, famiglie, ma anche, sorprendentemente, da parte degli studenti, che vivono questo divieto come un’opportunità per disintossicarsi”.
Valditara ha poi ricordato dati inquietanti: il 38% dei ragazzi soffre di disturbi del sonno legati all’uso dello smartphone, mentre l’uso smodato del cellulare triplica il rischio di bocciatura, nonché di isolamento, con mancanza di interazione con gli altri, vivendo in un mondo digitale inconsapevoli da ciò che li circonda realmente, con scarse attività motorie durante il giorno. In alcune scuole sono stati segnalati bambini di appena sei anni che accedono a contenuti pornografici, con gravi deficit di attenzione e apprendimento dovuti dall’uso sproporzionato di cellulare e tv anche all’interno dell’ambiente familiare. Da qui l’appello del ministro a “riscoprire il valore del libro, della carta e della penna, delle favole raccontate, della creatività, del coinvolgimento reale, del linguaggio al di fuori dallo schermo”.
L’iniziativa italiana non è isolata. Il 12 maggio 2025, a Bruxelles, l’Italia ha presentato una proposta per vietare l’uso degli smartphone nelle scuole di tutta l’Unione Europea fino almeno ai 14 anni. Hanno già aderito Austria, Francia, Ungheria, Slovacchia e Svezia, mentre Lituania, Cipro, Grecia e Belgio hanno espresso il loro sostegno.
La Francia è stata pioniera in questo campo, vietando l’uso dei cellulari nelle scuole già nel 2018. La Finlandia ha approvato una legge simile nel 2025, che limita l’uso dei dispositivi mobili durante l’orario scolastico.
Valditara ha definito “drammatici” gli effetti dell’uso eccessivo degli smartphone, sostenendo anche l’introduzione di un divieto di accesso ai social network per i minori di 15 anni. Un disegno di legge bipartisan su questo tema è attualmente in discussione in Parlamento.
Il divieto di smartphone alle superiori non è una semplice norma disciplinare, ma un segno di un cambiamento culturale profondo. La scuola italiana si fa promotrice di un’educazione digitale più responsabile, più umana, più centrata sui bisogni reali dei ragazzi.
In un mondo sempre più interconnesso, insegnare il valore della disconnessione, della concentrazione e della relazione reale può essere la vera sfida educativa del nostro tempo. La battaglia contro l’abuso degli smartphone non si combatte solo a colpi di regolamenti, ma anche con una nuova visione di scuola, persona e comunità. E l’Italia, oggi, sembra voler guidare questo cambiamento.
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