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La Napoli contraddittoria di Sorrentino: un’analisi di Parthenope

La Parthenope di Sorrentino ritrae una Napoli contraddittoria e affascinate. Che si distingue per le sue complessità. Di seguito l'analisi del film.

Parthenope, ennesimo capolavoro di Paolo Sorrentino, sale al primo posto per numero di spettatori e incassi. Campione di incassi durante la giornata del 1° novembre 2024. Con ben 85.641 presenze e un guadagno di € 641.609,00.
Dopo ben due anni da “È stata la mano di Dio”, Paolo Sorrentino torna nella sua Napoli per raccontare la storia di Parthenope. Emblema di una città bella e perduta, dove c’è sempre posto per tutto e tutti. 136 minuti in cui Parthenope scopre e studia l’antropologia del popolo napoletano. Ma lo fa a modo suo, attraverso l’unica arma che possiede: quella della seduzione.
Riscopre e analizza la sua Napoli delle contraddizioni, che cammina a braccetto con miseria e nobiltà. Napoli come una bella donna, che continua a cadere, che continua a perdersi tra le sue incoerenze. Napoli, protagonista indiscussa amata, odiata, desiderata e temuta.

Parthenope, una poesia che accarezza il cuore

L’opera d’arte di Sorrentino più che un film è una vera e propria poesia. Poesia di immagini e di suoni. Ogni scena è un’opera d’arte, si è immersi nel grande e violento museo di Napoli. Destinati a commuoversi di fronte al film più allegorico, metaforico ed erotico di Sorrentino. Parthenope è una vera e propria esperienza da gustare minuto per minuto, un stato d’animo che si insinua sottopelle, che seduce, che ammutolisce di fronte alla sfrontatezza di Napoli.

Parthenope intrappolata tra mito e modernità

Quella portata in scena da Sorrentino è una Parthenope moderna. Fin da subito notiamo che la nostra protagonista, interpretata da Celeste Dalla Porta, è una ragazza diversa dalle altre. In lei si cela la magia del mito. La nostra giovane ragazza viene partorita nelle acque cha bagnano Napoli, e proprio questo elemento sembra definirla fin dalle sue radici, legandola al mito della suicida sirena.
Proprio nell’Odissea ci viene presentata Partenope, creatura affascinate e pericolosa. E ad accostarsi al suo canto sarà proprio Ulisse, di cui si innamorerà perdutamente. Ma per lei non si prospetta un avvenire felice. Il suo amore non può essere corrisposto e questo la porterà al suicidio. Il suo corpo si dissolverà in mare e dalle sue spoglie sorgerà la città di Napoli.
La nostra protagonista si troverà quindi a convivere con il mito omerico. E proprio per questa come una sirena sarà fin da adolescente una femme fatale. Condannata ad affascinare e a sfuggire, a non lasciarsi prendere da chi la vorrebbe raggiungere. Parthenope rimane una visione irraggiungibile. Il suo io più intimo rimane impenetrabile, come un sogno che non conosce risveglio.

A Napoli c’è posto per tutti, anche per l’anomalia

La nostra protagonista si legherà in maniera profonda al professore Marotta. In lui riscoprirà la sua stessa anima insaziabile di curiosità. I due sono quindi destinati a legarsi indissolubilmente. Le loro menti sono tenute insieme dall’incessante rapporto erotico con il sapere. Il professore Marotta, che pian piano diventerà un rappresentante della figura paterna, svelerà alla figlia acquisita il suo più grande segreto: suo figlio. Un ragazzo tenuto al sicuro, sottratto da occhi curiosi e indiscreti. Si tratta di un vero e proprio gigante dalla pelle fragile attraversata da vene azzurre. Lo stesso Marotta ci rivela che suo corpo è composto da acqua e sale. Alludendo quindi alla sostanza del mare lo stesso mare che diede vita a Partenope.

“Dio non ama il mare”

Durante tutto il film e anche dopo i titoli di coda una voce sussurra al pubblico “Dio non ama il mare!”. Dopo la visione del figlio di Marotta emblema del mare stesso sorge spontanea la domanda: “dov’è il Dio cristiano che ama gli ultimi e gli ammalati?”. Dove si trova in questo momento il Dio che ama il mare e quindi il figlio ammalato di Marotta? D’altronde a vedere ,a riconoscere e ad amare quella creatura mostruosa è solo il padre. Il quale farà scoprire alla sua pupilla il prodigio dell’imperfezione, del difetto incorreggibile. Nella vita c’è spazio per tutto e per tutti e in questo caso anche per gli errori della natura., che dai nostri protagonisti non sono visti come ingombri o come ostacoli, ma come parte essenziale della grande bellezza dell’esistere.

Parthenope lontana dalla sua gente

L’idillio della vita in riva al mare di Napoli non durerà per sempre. Parthenope sarà però costretta fuggire da Napoli, dalla sua bella città ma perennemente triste. Bisognerà attendere ben quarant’anni per il ritorno della nostra protagonista A Napoli. Ed è proprio quando deciderà di ritornare nella sua città, che finalmente ritroverà sé stessa, riscoprendo il suo io più intimo. Ormai vecchia prenderà consapevolezza che la sua anima si rispecchia nelle stesse contraddizioni delle città. Non è altro che somma di contrasti: “triste e frivola, determinata e svogliata”. Ed è in questo momento che i margini si sfumano, Parthenope si svela al pubblico, si riscopre in Napoli. Una Napoli che prende consapevolezza di sé e si spoglia dalla vergogna della sua miseria: “Io sono Parthenope, non mi vergogno mai”.

Cocciante colonna sonora della vita di Parthenope

Ad accompagnare gli spettatori la dolce musica di Cocciante, con il suo capolavoro: “Era già tutto previsto”. Un brano perfetto per raccontare la storia della nostra protagonista. La musica di Cocciante riavvolge i fili della trama, dona circolarità al tempo e alla vita di Parthenope. Era tutto previsto: la fuga, l’amore e il ritorno in città. Era tutto scritto nel destino , ma forse quello che l’aspettava non era un granché. C’è di nuovo spazio per tutto, anche per essere tristi.

Alla fine del film è chiaro il messaggio. Napoli ha un grande pregio: si può essere tutto quello che si vuole. Ma purtroppo proprio a Napoli si vede poco. La miseria, le lotte per ottenere più soldi e prestigio, le morti, il suicidio, la prostituzione entrano a far parte del caos cittadino. Ma molto spesso si distoglie lo sguardo da quello che imbruttisce la città. Ed è proprio qui che si perde il senso della vita. Perché in fondo l’obbligo morale di ognuno di noi è quello di vedere e di saper vedere.

Ilaria Santamaria

Laureata in lettere e futura filologa comparatista. Ad occupare il mio tempo libero lunghe passeggiate sotto il sole e una buona lettura di un classico.

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Ilaria Santamaria

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