Lo sviluppo umano è preso in considerazione sia da religione che da scienza: quanto è importante questo tema per un Paese come l'Italia?
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Osservando l’ordine naturale delle cose, quel che salta all’occhio di chi guarda con negatività è che vi sono e vi saranno sempre elementi in contrasto, che “bisticciano” fra loro: tanto le prede e i predatori quanto gli interessi, le emozioni, le culture. Uno dei rapporti conflittuali per antonomasia, attenzionato da molti teologi scienziati e filosofi nel corso della Storia, rimane certamente quello tra religione e scienza.
Eppure, quel che salta all’occhio di chi guarda invece con positività è la realizzazione che, nonostante l’eterno “litigio” tra sacro e profano, fanno capolino dei fattori comuni e cari ad entrambe le parti: uno tra questi è lo sviluppo umano.
Le encicliche “Mater et Magistra” e “Pacem in terris” di papa Giovanni XXIII, pubblicate rispettivamente nel 1963 e nel 1967, mettono in contatto col tema oramai globale dello sviluppo umano. Tra le righe di questi documenti, il pontefice sottolinea quanto il miglioramento economico, sociale e culturale sia un diritto di tutti i cittadini e quanto, di conseguenza, sia un dovere dei Paesi più sviluppati il contribuire al progresso dei popoli, specialmente a quello della loro dimensione spirituale.
Pochi anni dopo, anche Paolo VI si affianca alla stessa visione di uno sviluppo umano che sia appunto integrale, ossia totale, scrivendo: “Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; […] che cercano una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane è oggetto di attenta osservazione da parte della Chiesa”.
Tramite una Lettera Apostolica presentata durante il Giubileo della Misericordia, nel 17 agosto 2016, Papa Francesco istituisce formalmente il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Si tratta di un importante aggiornamento della Chiesa, con il quale il Pontefice fa confluire in un unico dipartimento le competenze dei Pontifici Consigli per la Giustizia e per la Pace, per i Migranti e gli Itineranti e per gli Operatori Sanitari.
Parallelamente interessanti sono alcune riflessioni fatte da Craig Calhoun, sociologo americano e professore di Scienze Sociali all’Università dell’Arizona, proprio in merito a questa tematica. Nel corso di un’intervista pubblicata dall’International Science Council nel 2020, Calhoun indica che oltre allo “sviluppo” degli uomini siano da prendere in considerazione soprattutto le “trasformazioni” a cui questi vanno incontro durante le loro vite, scandite dal bagaglio di capacità e potenzialità che ognuno porta con sé e a cui è possibile (e necessario) attingere.
A far parte delle scienze sociali è la branca delle scienze economiche, la quale non ha soltanto voluto dare una corretta definizione del concetto di “sviluppo umano” ma, a partire da questa, costruire e redigere annualmente un vero e proprio report.
Punto fondamentale della mission del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) consiste nella pubblicazione annuale del Rapporto sullo Sviluppo Umano, che indaga in particolar modo quattro aree dello sviluppo sostenibile di tutti i Paesi del mondo: l’equità sociale, la qualità ambientale, il coinvolgimento dei cittadini e la gestione dei cambiamenti demografici.
Ciascun report condotto è caratterizzato da svariati indici: quello più rappresentativo tra questi risulta essere l’Indice di Sviluppo Umano. L’ISU è un indicatore elaborato sul finire degli anni ‘90 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq ed è sintesi di tre fattori ben precisi per uno Stato: il PIL, l’alfabetizzazione e la speranza di vita. A partire dal 1993, tale indicatore viene utilizzato per misurare la qualità della vita dei membri di un determinato Paese.
Sarebbe impossibile non citare il Bel Paese come uno dei luoghi più fortemente attratti dal sacro e dal profano; anzi, volendo essere più precisi, l’Italia sembra storicamente guardare con un certo divertimento al rapporto conflittuale tra le due parti; un po’ come qualcuno che, tenendosi a debita distanza e magari sorridendo, sbircia due personaggi azzuffarsi, intervenendo solo quando la lotta è ormai già terminata.
Visto che, però, religione e scienza prendono in grande considerazione il tema dello sviluppo umano, a questo punto sorge spontanea una domanda: nella speciale classifica degli Stati per Indice di Sviluppo Umano, dove si posiziona l’Italia?
Nella lunga lista in cui vengono considerati Prodotto Interno Lordo (PIL), alfabetizzazione e speranza di vita dei cittadini di 193 Paesi, l’Italia fa chiaramente parte del gruppo di Nazioni più sviluppate e col più alto Indice di Sviluppo Umano al mondo, con un punteggio complessivo pari a 0,906 collezionato nel 2022. A spiccare positivamente è inoltre il dato riguardante l’aspettativa media di vita degli italiani, che ha ormai raggiunto gli 84 anni.
Malgrado ciò, il nostro Paese è riuscito ad aggiudicarsi soltanto il 30° posto in questa classifica globale, prima di Estonia, Repubblica Ceca e Grecia. Complici di questa posizione agrodolce sono indubbiamente sia il grande debito pubblico che influisce sul PIL italiano che gli anni medi di scolarizzazione dei nostri giovani (10,7 anni), decisamente sotto la media misurata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD).
L’alto punteggio conquistato dall’Italia è indubbio ma non può trasformarsi in ragione per distogliere lo sguardo da quei fattori che potrebbero diventare ancor più cruciali nei prossimi anni: meglio impegnare le mani nel fare il segno della croce che usarle per tapparsi gli occhi.
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