L’atmosfera calda e genuina di un concerto tra amici in un palazzetto strapieno. La maglietta del Catania come bandiera di una squadra che ha stravinto.
“Ricordo un’estate in cui presi una casa in Sicilia, lui venne giù per fare qualche canzone. Oh, non ne abbiamo scritta mezza! Era la più la voglia di stare insieme che altro. Infatti Lovebars viene dal desiderio di lavorare insieme, prima che da un’affinità artistica. Magari quando gliel’ho proposta non se l’aspettava, ma subito gli è scattato qualcosa. Perché eravamo pronti”.
In Sicilia non sarà nata proprio la tracklist di Lovebars, il joint-album di Coez e Frah Quintale, ma il tempo passato insieme nell’Isola, in piena estate, ha fatto scattare qualcosa. Forse l’ispirazione, ma non lo sapevano ancora. Di certo si è rafforzata una particolare intesa che non nasce da un’affinità di stile bensì dall’amicizia che lega i due artisti, quella brotherhood che il disco vuole celebrare come una delle molteplici declinazioni dell’amore.
La tappa siciliana del tour ha confermato tutto questo e la maglietta del Catania lanciata sul palco e sventolata da Frah Quintale è stata la bandiera di una squadra che lo scorso sabato ha stravinto: le voci dei due cantanti si sono unite e sovrapposte, quando non sovrastate, a quelle di migliaia di fan. “Il migliore pubblico finora” dice Coez, “sottoscrivo a pieno”, risponde Frah. L’atmosfera calda e genuina di un concerto tra amici nello spazio di un palazzetto strapieno e con un sistema acustico di ultima generazione mai provato finora in Italia (voluto dagli stessi cantanti). Insomma, due amici divenuti i “local heroes” della musica crossover tra rap e cantautorato, e di un sacco di ragazzi e ragazze di diverse età che sabato erano davvero in love, love, love.
Un amore tra le barre, cioè tra i versi di una strofa rap, ma anche tra le barre di questo mondo, di questa società, barre invisibili che ci dividono gli uni dagli altri, che ci impediscono di conoscere davvero l’altro. Una domanda ricorre nella canzone Che colpa ne ho: “Cosa sappiamo davvero di noi?”. È la domanda di una generazione col cuore chiuso come una cassaforte, tagliato con una barra, depennato, cancellato, dietro le sbarre, inerme davanti alle barre di una ringhiera da cui affacciarsi per volare o cadere, mentre le nuvole si fanno contorno.
È un salto nel vuoto in entrambi i casi, “da mille palazzi”, ma “vieni con me?”, come chiedeva Coez nel suo pezzo storico Le luci della città. L’invito è ancora valido, anzi sembra essere il vero love language di oggi, l’unica promessa da poter fare: puntare alle stelle o toccare il fondo insieme, perché “solo il meglio non vale” e perché “non si vince da soli, ma ci si allea”.
È anche il vuoto dei sentimenti, quello lasciato da legami interrotti, da rapporti tagliati come fossero ponti e non ricostruiti perché “ci hanno insegnato a rompere piuttosto che ad aggiustare”.
È un salto senza fine (fatto con le Nike) che continuamente si trasforma in caduta e in volo, è la caduta a farsi volo e il volo a ribaltarsi in caduta un attimo dopo, in un mondo in cui “non è mai stato più facile inciampare” (nonostante le Nike). Un mondo in cui i giovani si sentono come ad una “festa senza invito”, in cui la vita “chiude porte in faccia” costringendoli ad “entrare dalla finestra” (recita la canzone Era già scritto). E costretti come siamo ad arrampicarci rompiamo tutto e facciamo casino. Quel che emerge, alla fin fine, è un violento grido d’amore di chi cerca le parole giuste ma non le trova, di chi capisce i sentimenti solo quando glieli fanno a pezzi. Però la vera domanda, quella che racchiude il senso dell’album è: “Che differenza c’è tra amarsi e volersi bene?” probabilmente nessuna. Lovebars è un album che pone delle domande, senza avere le risposte, proprio come noi. Ma una cosa è certa: a Catania, con Coez e Frah Quintale, si vola e basta.
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