Violenza sulle donne straniere a Catania: l’impegno dell’Associazione Penelope

La violenza sulle donne in Italia non riguarda solo le cittadine italiane ma anche quelle straniere, le quali molto spesso si trovano in difficoltà differenti e, se possibile, persino più gravi. Ai microfoni di LiveUniCT il racconto del lavoro svolto a tal proposito dall’Associazione Penelope a Catania.

Se si dovesse ricercare l’origine della violenza, molto probabilmente essa verrebbe a coincidere con quella dell’essere umano. Infatti, la bontà e l’aggressività si presentano come una dicotomia imprescindibile nell’umanità, con la possibilità che si manifesti una, l’altra o entrambe le forme del duo. Di conseguenza, non è possibile trovare un luogo abitato da esseri umani dove non esista una forma di violenza, sia essa fisica, verbale o di altro genere.

Lo stesso può essere detto per l’orribile fenomeno della violenza sulle donne, il quale non conosce patria o discriminazione. Infatti, sebbene in alcune parti del mondo essa possa mostrarsi con maggior veemenza, il morbo della violenza di genere sotto forma di attacco all’universo femminile è purtroppo presente ovunque, compreso il territorio italiano. Non a caso il 25 novembre è stata istituita la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, come metodo per cercare di sensibilizzare e contribuire ad arrestare questo fenomeno in tutto il mondo.

Guardando all’Italia più da vicino, da anni si contano casi di violenza di vario tipo sulle donne, i quali spesso sfociano nel terribile esito del femminicidio. Tuttavia, si tende a parlare più spesso di casi di donne italiane, ma è importante riflettere sul fatto che anche le donne straniere in Italia possono essere e sono vittime di violenza. Anzi, spesso esse rappresentano per vari motivi dei soggetti persino più fragili delle corrispondenti italiane, se è possibile immaginare uno scenario peggiore. Ne abbiamo parlato con Oriana Cannavò, vicepresidente dell’Associazione Penelope, che ha raccontato ai microfoni di LiveUniCT l’impegno e l’esperienza dell’organizzazione a tal proposito.

Il Centro Antiviolenza Interetnico “GeneRosa Catania”

L’Associazione Penelope è un’organizzazione che ha tra i suoi scopi principali il supporto alle donne vittime di violenza e la lotta contro la tratta degli esseri umani. Da questi punti cardine del lavoro dell’Associazione è derivata un’attenzione particolare dell’organizzazione nei confronti delle donne straniere vittime di violenza che ha portato all’avviamento del Centro Antiviolenza Interetnico “GeneRosa” a Catania, progetto concluso di recente a livello formale.

“GeneRosa Catania è stato un progetto della durata di un anno che si è concluso il 31 ottobre, finanziato dall’8×1000 della Chiesa Valdese, ed era un Centro Antiviolenza Interetnico – ha spiegato la vicepresidente dell’Associazione Penelope Oriana Cannavò -. Tuttavia, la conclusione formale del finanziamento e del progetto non è stata seguita dallo stop della nostra attività, dato che l’Associazione Penelope si occupa di donne vittime di violenza e considerando che i bisogni del territorio riguardo il centro GeneRosa di Catania non si sono estinti.

“L’idea del progetto è nata perché in un periodo specifico si è avvertita la necessità di focalizzazione sul tema della violenza sulle donne straniere a Catania, che in realtà continua ad essere un argomento ricorrente – ha poi continuato la dott.ssa Cannavò -. Inoltre, l’Associazione Penelope è anche ente antitratta, vale a dire un ente accreditato per la realizzazione di programmi di protezione a favore delle vittime di tratta. Secondo il Testo unico per l’immigrazione, e l’articolo 18bis in particolare, è prevista la possibilità per le donne straniere irregolari di poter accedere ad un programma di protezione gestito dai centri antiviolenza, come accade per le donne regolari, che dia la possibilità di fuoriuscire dalla situazione di violenza e di ottenere un permesso di soggiorno valido 6 mesi, rinnovabile per un altro anno e, sulla base delle esigenze, convertibile in permesso di soggiorno per studio e per lavoro”.

“Tuttavia, è anche importante sottolineare un limite dell’articolo 18bis, vale a dire l’emersione e quindi il rilascio di un permesso di soggiorno solo per chi è vittima di violenza domestica, quindi da parte del compagno, marito, famiglia. Ma ci possono essere dei casi che esulano da questo tipo di situazione” ha aggiunto la vicepresidente dell’Associazione Penelope.

Violenza sulle donne straniere a Catania

Oltre le necessità riscontrate attraverso l’osservazione del territorio catanese, l’idea del progetto è scaturita da un evento specifico. “Durante un incontro con la comunità senegalese su San Berillo – ha raccontato la vicepresidente di Associazione Penelope – ci siamo posti una domanda: “Qual è la differenza tra una donna italiana vittima di violenza e una donna straniera vittima di violenza?”. La risposta è che non c’è nessuna differenza, dato che la violenza che si vive nelle case dove vivono le donne italiane è la stessa che avviene nel caso delle donne straniere. Semmai, è declinata in maniera differente, ma il principio è sempre lo stesso: per esempio, molto spesso c’è una gestione di un equilibrio, o meglio “squilibrio” familiare, che viene percepito come normale sia da parte di donne italiane che di donne straniere”.

“Tuttavia – ha proseguito la dott.ssa Cannavò -, le differenze sono negli strumenti di emersione, e nel linguaggio, che viene percepito come diverso e che scaturisce in difficoltà di comunicazione, includendo un diverso background culturale e ancora, una diversa narrazione dei fatti. Per questi motivi la situazione si presenta come molto delicata e l’intervento di persone adatte è fondamentale. Ciò era già previsto dal progetto GeneRosa ed è presente anche nel progetto Nuvole R/evolution, vale a dire la nuova annualità finanziata dal dipartimento Pari Opportunità, che prevede anche l’attivazione di percorsi di emersione di donne straniere vittime di violenza domestica”.

Violenza su donne straniere a Catania: le criticità riscontrate

Sul tema delle donne straniere vittime di violenza e delle criticità riscontrate a Catania, dall’esperienza dell’Associazione Penelope si è evidenziata una situazione che in realtà è in linea con quella mondiale e con quella delle corrispondenti italiane. “Quello che più è rilevante da sempre è la mancanza di strumenti di fuoriuscita da una situazione di violenza – ha spiegato la dott.ssa Cannavò -. Nel momento in cui una donna che è vittima di violenza sente di non avere alternative, fa molta difficoltà a denunciare ed uscire da questa situazione. E questo trascende le nazionalità e lo abbiamo sempre riscontrato”.

“Le donne che si rivolgono all’Associazione rappresentano casi di violenze economiche, fisiche e anche psicologiche, con un bacino di utenza che varia dalle ragazze più giovani a donne più adulte con 25 anni di matrimonio alle spalle – ha rapportato la vicepresidente Cannavò -. La nostra utenza media non è di donne benestanti o di donne che hanno un’alternativa lavorativa, anche se abbiamo avuto dei casi simili, ma è per lo più caratterizzata da persone che non hanno scelta – ha poi proseguito la vicepresidente di Associazione Penelope -. La differenziazione tra l’uomo che lavora e la donna che si occupa dei figli rende le madri ancora più vulnerabili, considerando che spesso succede che si tratta di donne che non hanno mai lavorato. Per cui, l’idea di immettersi nel mercato del lavoro, le cui dinamiche sono sconosciute, diventa sempre più complicata. E per le donne straniere, che molto spesso hanno vissuto in un ambiente di isolamento rispetto alla comunità cittadina italiana e non solo, è anche più difficile poter avere una prospettiva di autonomia, a cominciare dalle difficoltà linguistiche e comunicative. Per questo motivo si può dire che le donne straniere hanno un grado di vulnerabilità maggiore, perché c’è questo tipo di gap, che non è voluto ma si è creato”.

“L’idea di un centro interetnico è fondamentale perché prevede un “riempimento” del gap che si pone quando si affrontano casi di donne straniere vittime di violenza, che vivono una realtà culturale differente da quella delle donne italiane” ha aggiunto la dott.ssa Cannavò.

“A tal proposito è fondamentale il ruolo delle mediatrici, che si inseriscono tra il personale di un centro antiviolenza “classico”, costituito da avvocati, assistenti sociali, operatori di strada e educatori, al quale sono richieste sensibilità ed empatia tali da trattare simili situazioni, oltre allo studio che parte dai territori, per leggerne i bisogni e rispondere con dei servizi. In questo contesto si inseriscono le mediatrici, vale a dire le figure che riescono a “comunicare”, instaurare un dialogo con le donne straniere vittime di violenze che va al di là della mera traduzione”.

Oltre “GeneRosa”: le altre attività dell’Associazione Penelope

Ma le attività dell’Associazione Penelope nel contesto della violenza sulle donne e dell’attenzione alle cittadine straniere non si sono esaurite ai progetti “GeneRosa” e “Nuvole R/evolution”. “Al momento abbiamo operativo un progetto finanziato dall’8×1000 statale per il 2019 che è la Casa sociale delle donne – ha illustrato la dott.ssa Cannavò -. Si tratta di un centro diurno per donne richiedenti asilo, rifugiate, vittime di tratta che rappresenta una possibilità per le donne del quartiere di San Cristoforo di poter vivere una situazione di normalità in un contesto familiare frequentato solo da donne. Al suo interno sono presenti un ufficio di disbrigo pratiche, un ufficio legale, e poi sono attive una serie di attività concordate e anche chieste dalle donne che permettono loro di socializzare e vivere un momento di svago rispetto alla loro esperienza quotidiana”.

Infatti, le frequentatrici della Casa Sociale sono ragazze e donne che si trovano in Italia da più tempo, spesso vittime di tratta, che vivono una situazione di residenza sul territorio e hanno bisogno di occasioni di scambio. “È previsto anche uno spazio giochi con personale specializzato per i bambini che permette di tenere i figli delle frequentatrici della Casa Sociale mentre queste ultime partecipano ad attività come laboratori di cucina, di sartoria, di italiano o d’arte – ha spiegato la rappresentante dell’Associazione Penelope -. L’area gioco è fruibile anche dai figli delle donne che lavorano grazie a delle borse lavoro che sono state attivate sia con la Casa Sociale che con il Progetto Nuvole per le donne straniere vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo e vittime di violenza che non possono prendersi cura dei loro bambini durante l’orario di lavoro. Tuttavia – ha poi aggiunto la dott.ssa Cannavò – è importante sottolineare che si tratta di tirocini che si presentano come strumenti di emersione non definitivi, dato che al loro termine è necessario un lavoro”.

Tra le attività presenti e future della Casa Sociale spiccano quella della Sartoria Sociale, che mira all’avviamento di una gestione autonoma e totale da parte di un nucleo di sarte tra le ragazze che frequentano la Casa Sociale, affiancate da professioniste del settore, insieme alla radio-web “Clandestine” che darà voce alle donne della Casa Sociale, alle loro esperienze e alle attività svolte con l’Associazione Penelope.

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: la protesta

In occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne si organizzano diverse manifestazioni e flash mob in tutto il mondo, compresa Catania. Tuttavia, la situazione precaria in cui versano le associazioni e i centri antiviolenza a causa della mancanza di fondi ha portato un cartello di enti che gestiscono Case Rifugio in Sicilia, tra i quali è presente anche l’Associazione Penelope, a decidere di non prendere parte agli eventi promossi dagli enti locali per il 25 novembre.

“Come Casa Rifugio non parteciperemo ad alcuna iniziativa comunale: insieme ad altre associazioni abbiamo chiesto all’Anci Sicilia e all’Assessorato Regionale della Famiglia un incontro per il 25 novembre. I motivi sono vari: per esempio, il fatto che le accoglienze funzionano con le quote pagate dai Comuni che spesso arrivano in ritardo o non arrivano affatto – ha spiegato la dott.ssa Cannavò in rappresentanza dell’Associazione Penelope-. Vorremmo anche riflettere sul fatto che le donne vittime di violenza devono essere accompagnate non solo nel periodo di permanenza all’interno delle strutture ma anche al di fuori per evitare situazioni di rivittimizzazione. Infatti, abbiamo rilevato una mancanza di strumenti di autonomia che impedisce alle vittime di violenza di uscire da un ambiente domestico dove vengono deprivate. E la deprivazione consiste anche nella mancanza di alternative economiche, perché molto spesso le donne non denunciano una situazione di violenza perché non hanno alternative, e l’inizio di un percorso in seguito ad una denuncia rischierebbe di ricondurle in certe situazioni al momento conclusivo del percorso se non si hanno strumenti di autonomia, come succede per moltissime situazioni di sfruttamento” ha poi concluso la vicepresidente Cannavò.

Donne vittime di violenza: l’importanza del confronto

Il lavoro dei centri antiviolenza e delle autorità per combattere la violenza sulle donne si presenta come fondamentale, anche se il primo passo verso una liberazione dalle vessazioni è per lo più un’azione che spetta alle stesse vittime di violenza. “Di certo l’idea di rivolgersi ad un centro antiviolenza indica che si ha una volontà di fuoriuscire da un percorso di violenza, e questo non è poco – ha spiegato la dott.ssa Cannavò -. A tal proposito, è fondamentale parlare, trovare un modo di confrontarsi sulla propria situazione e capire che non si è soli”.

“Naturalmente bisogna denunciare e nulla è facile: per questo motivo è necessario il supporto da parte di qualcuno che può accompagnare le donne vittime di violenza, sia per fuoriuscire dalla loro condizione ma anche per non sentirsi sole. Il confronto con gli altri va al di là della consapevolezza, ed è fondamentale per capire che quello che si sta affrontando non è giusto, oltre a fornire una visione ulteriore, una prospettiva alternativa a chi è vittima di violenza. L’idea di base del progetto “GeneRosa Catania” – ha infine concluso la vicepresidente Cannavò – era anche quella di rivolgersi e comunicare con le comunità straniere, favorendo degli incontri con le donne del quartiere di San Berillo, della comunità senegalese o le donne musulmane. Perché lo scopo, e la chiave di volta, è univoco: la creazione di un momento di comunicazione e condivisione tra le comunità femminili che possa contrastare la violenza di genere”.

Martina Bianchi

Giornalista pubblicista con una laurea magistrale in Global Politics and Euro-Mediterranean Relations e una triennale in Scienze e Lingue per la Comunicazione, coltiva l'interesse per il giornalismo scrivendo per LiveUnict dal 2018 e coordinando la redazione da maggio 2022. Appassionata di lingue straniere, fotografia, arte e viaggi, ama scrivere di attualità, con un particolare interesse per i diritti e la storia.

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Martina Bianchi

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