Fra meno di un mese gli italiani saranno chiamati alle urne per votare i referendum sulla giustizia. I quesiti referendari, ritenuti ammissibili dalla Corte Costituzionale a febbraio, sono ben cinque: a quali si fa riferimento? Ecco per cosa si voterà il 12 giugno.
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Fra meno di un mese gli italiani andranno al voto. E non si fa riferimento alle sole elezioni amministrative, con focus su quattro capoluoghi di provincia: Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo.
Domenica 12 giugno, a partire dalle ore 7:00 e fino alle ore 23:00, si è chiamati ad esprimersi su cinque referendum abrogativi in tema di giustizia.
Lo scorso 16 febbraio la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibili i quesiti referendari che gli elettori troveranno sulle schede elettorali. Quesiti, questi, che trattano diverse tematiche e che sarà bene conoscere nel dettaglio per recarsi con consapevolezza alle urne.
Ad ogni modo si precisa che i primi tre qui di seguito riportati rischiano di essere annullati: ciò avverrà nel caso in cui, prima del giorno delle elezioni, venisse definitivamente approvata dal Parlamento la riforma Cartabia, che interviene sulle stesse questioni.
Si parta dal quesito con al centro la separazione delle funzioni dei magistrati. Attualmente in Italia questi possono, ad alcune condizioni, passare più volte (fino a quattro) dalle funzioni requirenti, di competenza dei Pm (Pubblici ministeri), a quelle giudicanti, proprie dei giudici. E viceversa.
Tramite il referendum, gli italiani dovranno esprimersi in merito alla possibilità di abrogazione di queste norme. Come negli altri casi, il “sì” indicherà la volontà di modificare la legge attuale, il “no” quella di mantenerla.
Nel caso in cui si contassero più “sì”, all’inizio della propria carriera i magistrati saranno tenuti a prendere una decisione, destinata ad essere definitiva. Di fatto si dovrà optare tra il ruolo di PM e quello di giudice. Dirigere attività investigative o prendere decisioni? Sarà possibile compiere una sola scelta e, in ogni caso, non si potrà cambiare indirizzo in un secondo momento.
Abbiamo già fatto riferimento al CSM, il Consiglio Superiore della Magistratura, che è l’organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari. Il secondo quesito referendario da citare riguarda proprio le norme in materia di elezioni dei componenti togati di tale Consiglio.
Ciò che non tutti sanno è che, per candidarsi come membro del CSM, al momento un magistrato deve raccogliere e presentare dalle 25 alle 50 firme di altri colleghi a proprio sostegno.
Nel caso di vittoria del “sì”, tale obbligo verrebbe accantonato. Si tornerebbe, in particolare, alla Legge del 1958, che prevedeva che qualsiasi magistrato in servizio potesse proporsi quale membro del CSM limitandosi a presentare la propria candidatura.
Per mezzo di un altro quesito referendario, si chiede agli elettori se vogliano o meno abrogare le norme in atto in merito alle competenze dei membri laici dei Consigli Giudiziari.
Ma facciamo un passo indietro: cosa sono i Consigli Giudiziari? Si tratta di organi territoriali “ausiliari” del CSM, il Consiglio Superiore della Magistratura, che contano sia cariche appartenenti alla magistratura che una parte laica, composta per esempio da docenti universitari in materie giuridiche e avvocati.
I componenti sono tenuti a esprimere “motivati pareri” in merito a disparati argomenti: tra questi anche la valutazione di professionalità dei magistrati. Quest’ultimo potere viene in realtà esercitato a pieno dal CSM, che tuttavia prende una decisione definitiva anche sulla base delle valutazioni dei membri del Consigli giudiziari.
Ad ogni modo, ad oggi, i componenti laici sono esclusi dalla discussione e votazione delle decisioni del CSM che riguardano la competenza dei magistrati.
Fatta questa promessa, resta da chiedersi quale cambiamento scatterebbe con la vittoria del “sì”. In quel caso, anche avvocati e professori e avvocati potrebbero prender parte dalla discussione e e soprattutto votare in merito all’operato dei magistrati.
Un altro quesito prevede l’abolizione del Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, detto anche Legge Severino, che ruota intorno all’incandidabilità dei soggetti condannati.
Ad oggi, in Italia, coloro per cui viene stabilita una condanna in via definitiva a più di due anni di carcere per reati di allarme sociale, contro la Pubblica Amministrazione e non colposi non possono candidarsi alle elezioni né assumere cariche di Governo.
Nel caso di già avvenuta elezione, si stabilisce la decadenza del mandato. Prevista, in alcuni casi, la sospensione automatica in seguito ad una sentenza di primo grado (dunque non definitiva) nel caso di elezione in un ente locale.
Cosa cambierebbe nel caso in cui vincesse il sì? Verrebbero abrogati i concetti di incandidabilità e decadenza. In linea generale anche i condannati in via definitiva potrebbero tornare al proprio mandato o optare per una candidatura. Cadrebbero gli automatismi ma, ad ogni modo, spetterebbe ai giudizi stabilire eventuali divieti, analizzando i singoli casi. Si tornerebbe, in altre parole, alla realtà precedente l’entrata in vigore della Legge Severino, dunque il 2012.
Al centro delle votazioni di domenica 12 giugno, infine, l’eventualità di introdurre limitazioni alla custodia cautelare: si punta, in particolare, all’abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274 comma 1 lett. c) del codice di procedura penale. Si fa riferimento alla parte in cui si dispone il carcere per una persona sotto processo, nel caso in cui vi sia il rischio che questa possa commettere “delitti della stessa specie di quello per cui si procede”.
Attualmente le misure cautelari possono essere, oltre che disposte in caso di “gravi indizi di colpevolezza”, motivate anche dal pericolo di fuga dell’indagato e di alterazione delle prove a suo carico.
Cosa cambierebbe se i “sì”, a favore del quale si schiera chi teme che il carcere preventivo possa spettare anche a persone risultate alla fine innocenti, superassero i “no”? In questo caso verrebbe eliminata la custodia cautelare motivata dal rischio di reiterazione del reato.
Si esplicita che vi è la possibilità di votare anche per un solo quesito. Inoltre, per essere valido, ciascuno dei cinque dovrà raggiungere il quorum, ovvero la maggioranza degli aventi diritto.
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