In Sicilia, la maggior parte dei ginecologi è obiettore di coscienza. Accedere all'IVG è sempre più difficile: il risultato è un ritorno agli aborti clandestini.
Il 28 settembre ricorre la giornata internazionale dell’aborto sicuro. Celebrata per la prima volta nel 1990 per la depenalizzazione dell’aborto in America Latina e ai Caraibi, nel 2011 fu dichiarata giornata internazionale dal Women’s Global Network for Reproductive Rights. Eppure, in moltissimi luoghi del mondo abortire non solo non è una pratica sicura, ma è persino illegale.
Sono passati quarant’anni da quando l’Italia si recò alle urne per validare la legge 194/78 che – pur con i suoi difetti – sancì finalmente il diritto all’aborto nel nostro Paese. Tuttavia, ancora oggi, ci sono alcune regioni dove questo diritto fondamentale per l’autodeterminazione delle donne non è sempre garantito. Tra queste, c’è la Sicilia dove – secondo gli ultimi dati – la percentuale di obiettori di coscienza sfiora l’83%.
Ne abbiamo parlato con Claudia Fauzia che, dopo una laurea in Economia, ha lavorato in un centro antiviolenza a Medellin e si è specializzata in Studi di Genere a Bologna. Oggi Claudia è un’attivista che vive a Palermo e porta avanti un progetto di divulgazione sui social.
Seconda solo al Molise – dove la percentuale è al 93,3% – la Sicilia vanta l’82,7% di ginecologi obiettori. In alcune province, come quella di Marsala, questa percentuale raggiunge il 100%. Com’è possibile che il diritto all’aborto in Sicilia sia, di fatto, inesistente?
“Spesso quando ci si accinge ad affrontare le problematiche legate all’IVG – spiega Claudia Fauzia –, si tira in ballo la possibilità del personale medico di esimersi dal compito. Io ritengo che la questione sia molto più complessa di una scelta individuale e sia invece principalmente di carattere politico. Iniziamo proprio dall’obiezione di coscienza nata come diritto di rifiuto del servizio militare della guerra. Nell’ordinamento giuridico italiano l’obiezione di coscienza è prevista in altri due casi: vi è quella sanitaria e quella legata alla sperimentazione sugli animali. Trovo importante che l’ambito lavorativo dialoghi col sistema di valori morali, ideologici o religiosi del soggetto in questione.
Tuttavia – continua –, né nel caso dei militari né per ciò che riguarda la sperimentazione sugli animali vi è carenza di personale disposto a portare a termine i propri compiti. L’aborto è una questione più complessa delle altre perché riguarda principalmente i corpi di donne (nonostante anche corpi non di donna possono necessitare un IVG) e perché è un ostacolo al controllo riproduttivo da parte della società. Inoltre, sappiamo bene che l’autodeterminazione dei soggetti marginalizzati è assai osteggiata dal governo centrale e da quelli regionali perché potenzialmente sovversiva”.
Per quanto riguarda l’accesso all’IVG farmacologica con Ru486, inoltre, solo in otto strutture in tutta la Sicilia lo prevedono. “A questo riguardo – sostiene Fauzia –, la Regione Siciliana risulta inadempiente: non sono state recepite le linee guida su descritte e vi è una quasi totale impossibilità di godere del diritto all’aborto”.
“È per questo punto il dito contro la politica. Si dice che con i tassi di obiezione siciliani, un ginecologo che si dichiari non obiettore si precluda non solo le possibilità di carriera ma venga anche relegato unicamente al servizio di IVG. Stando al principio secondo cui una legge privata dell’applicabilità è carta straccia, la Regione Sicilia dovrebbe attuare un piano politico per favorire l’effettivo godimento del diritto. Una tra le tante manovre attuabili sarebbe quella di indire concorsi per medici non obiettori, garantendo che ce ne siano a sufficienza in ogni ospedale delle province siciliane”.
A causa dell’impossibilità ad abortire, molte donne sono costrette a spostarsi pur mettere fine a una gravidanza indesiderata. Ma qui subentra un altro fattore: quello economico. Non tutte possono permettersi di spostarsi per andare fuori. Il risultato è che si torni gradualmente alle mammane e agli aborti clandestini: un serio pericolo per la vita delle gestanti.
“Se non verranno attuate misure immediate – dice l’attivista –, si preannuncia con certezza un ritorno agli aborti clandestini e alle gravidanze indesiderate. La Sicilia non è un terreno impervio soltanto perché ci sono tanti medici obiettori ma anche per la sua conformazione geologica o meglio detta assenza di un sistema di trasporti efficienti. Raggiungere i pochi ospedali che praticano le IVG è dispendioso in termini di denaro e di tempo per le persone che non abitano nelle due principali città siciliane. Rasenta l’impossibilità per gli abitanti delle isole minori”.
“Sono testimone del fatto che esista una rete femminista di mutuo supporto: mi riferisco a persone che mettono a disposizione un posto letto per consentire di raggiungere l’ospedale o un passaggio in macchina o semplice compagnia durante le visite. Questo però non solo non basta ma non esime lo Stato e la Regione dalle sue responsabilità. Dico sempre che ostacolare il godimento del diritto all’aborto non garantisce la diminuzione di aborti – come vorrebbe certa parte di Paese – ma solo più pericoli per i corpi gestanti che non vogliono portare a termine la gravidanza”.
Uno dei problemi principali riguardo le pratiche abortive – ma anche sull’uso della pillola del giorno dopo e anticoncezionale – è quello della disinformazione. Né l’istituzione scolastica né quella familiare, ad oggi, si dimostrano in grado di fornire un’adeguata educazione sessuale alle ragazze (e ai ragazzi).
“Ci troviamo di fronte all’assenza di volontà politica nel fornire informazione su: sessualità, questioni di genere, pratiche disapprovate dalla morale cattolica – spiega l’attivista –. L’aborto farmacologico e gli anticoncezionali rientrano a pieno titolo in tutte e tre le categorie citate. Lo Stato non si occupa dell’educazione sessuale nelle scuole frequentate da giovani durante la pubertà. In famiglia difficilmente si parla di tabù sessuali. Spesso l’unica fonte di informazioni è internet con tutti i problemi di disinformazione che esso comporta. Se si è fortunati invece, le informazioni provengono dal terzo settore e dall’attivismo”.
Spesso, anche solo ricevere informazioni sulle procedure abortive è difficoltoso, poiché i consultori ignorano le telefonate e gli ospedali rimandano di settimana in settimana gli appuntamenti. In questo senso, il lavoro incessante di attiviste e di associazioni, che mettono a disposizione il loro tempo e le loro competenze, per sopperire alle mancanze prima dello Stato e poi della Regione, è fondamentale.
“Il lavoro delle associazioni – ribadisce l’attivista palermitana – è di fondamentale importanza in primis per fornire informazioni su come procedere se si vuole interrompere la gravidanza ma anche per far luce sui propri diritti e sui doveri del personale sanitario. Il ‘problema’ dell’attivismo è che non può effettivamente garantire il servizio. Per questa ragione è di fondamentale importanza il ruolo di terzo settore di pressione politica sui governi regionali e nazionali affinché i nostri diritti non siano soltanto carta straccia ma vi sia una effettiva applicazione della legge”.
“Sono anni ormai che insieme ad altre realtà femministe di Palermo, ogni 28 settembre montiamo un banchetto informativo su contraccezione e aborto. Ritengo però che non possiamo sostenere uno stato che delega le sue responsabilità ad altri. Due siti sui quali si possono trovare info utili in qualsiasi momento sono ‘Non è un veleno’ e ‘Libera di abortire'”.
All’interno del suo progetto di divulgazione sui social, Claudia Fauzia parla spesso di questione meridionale e della necessità che il femminismo intersezionale la includa nelle proprie lotte. In questo senso, anche la questione dell’IVG in Sicilia deve essere tenuta in considerazione come un’emergenza a livello nazionale.
“Portare avanti ed identificarsi in un movimento femminista interiezionale significa essere disposte ad abbracciare questa complessità. All’interno delle discriminazioni strutturali io faccio rientrare anche quelle che riguardano l’arretratezza socioeconomica del meridione d’Italia, l’inefficienza dei servizi, la criminalità, la dipendenza dal nord: essere una donna, un’appartenente alla comunità LGBT+ e una femminista al meridione è profondamente diverso dall’esserlo nelle regioni del nord”.
“Oltre alla denuncia – conclude Fauzia –, il mio progetto ‘La Mala Fimmina’ punta anche ad abbattere stereotipi e pregiudizi sul sud e a far emergere un’identità femminista terrona e isolana. È per questa ragione che recupero storie antiche, parlo di personaggi dimenticati o di storie mai fuoriuscite dai confini dell’isola. L’obiettivo è gridare ‘ci siamo anche noi e vogliamo essere considerate perché le nostre storie sono importanti'”.
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