La Sicilia del futuro avrà zone deserte e altre invase dal mare, ma anche il clima mediterraneo è a rischio. Ne abbiamo parlato col professor Christian Mulder, docente di Global climatic changes and desertification all'Università di Catania.
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Intere zone deserte, invasione del mare e fenomeni metereologici estremi. Non è Mad Max: Fury Road. E nemmeno un altro dei film distopici a cui Hollywood ci ha abituati di recente. Sono gli effetti dei cambiamenti climatici in Sicilia, che preoccupano sempre più scienziati, studiosi e ambientalisti. Un po’ meno, invece, i politici, che malgrado le iniziative prese a livello sovranazionale stentano ad agire.
LiveUnict ha parlato dei più recenti studi sui cambiamenti climatici in Sicilia e sulle prospettive per il futuro con il professore Christian Mulder, titolare della Cattedra di Ecologia e docente di Global climatic changes and desertification al Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania.
Il primo e forse il maggiore dei problemi riguarda la desertificazione. La Puglia e tutta la Sicilia, fatte salve piccolissime porzioni del territorio, è a rischio medio-alto nei prossimi anni. Lo dimostra uno studio internazionale di cui il prof. Mulder è co-autore, che ha coinvolto docenti dell’Università del Salento, dell’University of California e del Desert Research Institute di Las Vegas.
“È probabile che dovremo cambiare le nostre abitudini, a partire dall’agricoltura – spiega il docente del DSBGA –. In futuro possiamo prevedere intere aree non coltivabili e diverse colture rischiano di sparire per gli effetti della desertificazione. Potrebbe succedere, per esempio, per i vitigni di Marsala, ma anche per quella che chiamo ‘area Montalbano’, tra Sicilia sud-orientale e sud-occidentale. Andrà meglio a Catania – continua – per l’influenza positiva dell’Etna che mitiga il clima e per l’elevata fertilità del suolo vicino al vulcano. In altre zone, invece, ci sarà una situazione simile alla Tunisia, che del resto si trova dirimpetto, dall’altra parte dello Stretto di Sicilia”.
La Sicilia condivide il rischio desertificazione con oltre il 25% della popolazione mondiale, secondo lo studio pubblicato sulla rivista scientifica Land. Un problema sempre più globale, ma che tocca in particolare un ecosistema delicato come quello in cui viviamo.
“La media annuale delle temperature continua ad aumentare – dichiara il prof. Mulder – e il clima si avvicina a una condizione continentale, con inverni più freddi ed estati ancora più torride. La situazione è grave in Sicilia, sicuramente a ovest di Siracusa, nella Sardegna meridionale e nel Salento, ma va ancora peggio in Spagna. Qui c’è più luce solare diretta a causa della mancanza di una densa copertura vegetazionale e, in contrasto all’Italia, non c’è nemmeno la ‘protezione’ data dalla posizione centrale nel Mediterraneo”.
Un altro studio condotto dall’Università di Catania, assieme a INGV, Università di Bari e Radboud Universiteit nei Paesi Bassi, valuta l’impatto dell’innalzamento dei mari sulle coste della Sicilia sud-orientale. Gli effetti più gravi si avranno nella provincia aretusea, e in particolare sul porto di Siracusa, che potrebbe venire sommerso del tutto dal mare entro il 2100. Ma anche la zona di Catania non è priva di rischi.
“L’area della foce del Simeto, per esempio, cambierà forma, adattandosi al livello del mare – spiega il prof. Mulder –. In questo caso, il pericolo maggiore è dato dalle acque non più riutilizzabili a fini rurali e agricoli. Il rischio è che le infiltrazioni di acqua salata negli acquiferi coinvolgano le aree coltivate e, indirettamente, le risorse idriche della città. Il problema di un innalzamento del livello dello Ionio non sussiste, invece, per il centro storico di Catania, l’acqua arriverebbe al massimo a lambire Porta Uzeda, coinvolgendo l’area più vicina al porto”.
A desertificazione e innalzamento dei mari si aggiungono anche gli uragani mediterranei, che negli ultimi anni hanno prodotto effetti più intensi rispetto a quelli generati dalle normali tempeste stagionali di dieci anni fa. Nonostante ciò, per il prof. Mulder i siciliani non rischiano assolutamente di diventare “migranti climatici”, una condizione che solo negli ultimi sei mesi ha coinvolto nel mondo oltre dieci milioni di persone secondo la Croce Rossa Internazionale.
“Abbiamo le condizioni economiche per reagire – spiega il docente –. Il problema potrebbe peggiorare in condizioni di povertà, con case non preparate a resistere alle ondate di calore. Perciò – aggiunge – bisognerà cambiare forma mentis e costruire le abitazioni diversamente, con mura spesse come una volta e ante pronte a contenere il riscaldamento esterno”.
Dalla seconda rivoluzione industriale del 1880 ad oggi il genere umano ha prodotto gli stessi effetti sul clima degli ultimi quattordici milioni di anni. L’aumento esponenziale della popolazione, l’inquinamento e lo sfruttamento delle risorse naturali hanno causato danni di cui solo ora si realizza la portata. Tuttavia, accanto agli interventi delle Nazioni Unite e dell’UE, con Green Deal e Recovery Fund, e a iniziative come il Ministero della Transizione ecologica, c’è bisogno di fatti concreti.
Fatti che, nel caso della nostra regione, ancora latitano. “Non mi spiego come la parte centrale della Sicilia non sia ricoperta da una distesa di pannelli solari – afferma il professor Mulder –. Un’altra area di intervento per contenere il riscaldamento in città è il verde urbano. In estate le ondate di calore anomale a Catania si fanno quasi intollerabili e in centro l’unica area verde è la Villa Bellini”. Parte della reazione, poi, è affidata ai singoli: “Bisogna iniziare a sprecare meno risorse. In vista dell’estate, bisognerebbe almeno limitare l’uso dei condizionatori alle giornate più calde e ventilare adeguatamente.
I cambiamenti climatici ci sono sempre stati – è la conclusione del docente –, ma anche la nostra capacità di resilienza a questi fenomeni si sta abbassando. L’abbiamo visto l’anno scorso, con gli incendi in Brasile e Australia. Nel caso australiano, il governo ha addirittura rifiutato gli aiuti dall’estero e ha reagito solo quando gli incendi si sono avvicinati alle abitazioni”.
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