Il diritto di voto è davvero assicurato a chiunque? Non la pensano così i moltissimi studenti e lavoratori italiani e fuori sede. Mentre in altri Paesi differenti mezzi sono messi a disposizione di questi soggetti, in Italia si presenta una proposta di legge volta a cambiare le cose ma ancora parzialmente.
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”: recita così l’Articolo 3 della Costituzione.
Eppure in Italia, ancora oggi, studenti e lavoratori italiani fuori sede sono costretti a tornare a casa per esercitare il proprio diritto di voto. Questa problematica li distingue, nel caso di elezioni nazionali, dai militari e dalle forze di polizia, ma anche dai naviganti marittimi, i degenti ed i detenuti. Di fronte a questa amara verità, si fatica a trovare un riscontro tra legge e realtà, tra parole e fatti.
Per i fuori sede il rientro al Comune di residenza non è quasi mai del tutto agevole, è vero, ma da mesi a questa parte ciò è divenuto anche pericoloso. L’avvento della pandemia, di fatto, ha introdotto una nuova preoccupazione. Se prima si temeva soltanto di non riuscire a far fronte al costo di un biglietto (che rimborsi parziali e riservati a treni a lunga percorrenza o ai voli di Alitalia alterano ben poco), oggi si limitano gli spostamenti per evitare di esporsi più facilmente al rischio di contagio.
Per tale ragione, urge la necessità di garantire il dovuto alle persone distanti tanto dalla propria famiglia quanto, per via dell’età, dal giorno della vaccinazione anti-Covid e dall’immunizzazione.
Nelle scorse settimane, tuttavia, è stato compiuto un primo passo verso il cambiamento. O almeno molti sperano che in questo si trasformi la proposta di legge recentemente depositata da Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, e sottoscritta da altri parlamentari. Questo testo, in realtà, si rifà a quello redatto dai costituzionalisti Salvatore Curreri e Roberto Bin e formulato su richiesta del Collettivo Peppe Valarioti, un Think tank di studenti e ricercatori calabresi. In Commissione è stata già avviata la discussione in merito: lo scorso 6 maggio si è tenuta a tal proposito una prima audizione informale in videoconferenza.
L’obiettivo della proposta di legge è quello di permettere agli elettori fuori sede di votare nelle aree i in cui, per motivi di studio o impiego, si trovano. Si punterebbe ad un’approvazione rapida e vicina nel tempo, che permetta alla categoria interessata di contribuire già ai risultati delle prossime elezioni regionali ed amministrative che si terranno in autunno e riguarderanno in gran parte anche il Sud, da cui la maggior parte dei fuori sede proviene. Secondo le ultime indiscrezioni, ottobre potrebbe divenire il mese del via libera.
Tuttavia, andranno indicati i dettagli della bozza. In primo luogo si specifica che la proposta è riservata agli “elettori temporaneamente domiciliati in un Comune situato in una Regione diversa da quella in cui si trova il comune nelle cui liste elettorali risultano iscritti”. In altre parole, si escluderebbero coloro che hanno deciso di trasferire la propria residenza, oltre che i fuori sede all’estero.
Ma, nel caso in cui la proposta divenisse legge, come voterebbero i fuori sede? Secondo quanto esplicitato all’interno del testo, che conta soltanto due articoli, per farlo bisognerà:
Occorrerà, tuttavia, inoltrare una specifica comunicazione all’Ufficio territoriale del Governo operante nella circoscrizione elettorale di residenza entro quattro mesi dalla data fissata per le elezioni. Un tempo, quest’ultimo, che secondo quanto dichiarato da Giuseppe Brescia a FanPage potrebbe essere rivisto e ridotto a due mesi.
La seconda precisazione da fare, coincidente con un evidente limite della proposta, riguarda il contesto in cui esercitare il diritto di voto. Di fatto, la bozza di legge fa riferimento alle sole elezioni comunali e regionali. Di conseguenza, si esclude per esempio l’applicazione nel caso delle politiche, almeno per il momento.
Alcuni italiani scelgono di non recarsi alle urne pur avendo l’opportunità di esprimere la propria preferenza mentre altri, costretti ad astenersi dal voto, rivendicano da anni questo diritto.
Andrà precisato che il disagio di questi ultimi, già qualche tempo fa, era stato messo in luce dalla Commissione Affari costituzionali della Camera in occasione dell’esame del progetto di legge conosciuto come “Elezioni pulite”. Grazie a questo, secondo quanto dichiarato qualche settimana dallo stesso Brescia, i cittadini in mobilità potrebbero riuscire a votare ma solo per europee e referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione. Tuttavia l’atto in questione ha ottenuto solo l’approvazione della Camera: attualmente è ancora all’esame della commissione già citata.
Al contrario, più recenti opportunità riservate ad alcuni italiani all’estero andranno citate ad esempio ma considerate “vittorie a metà”. Si fa riferimento, nello specifico, alla possibilità di voto per corrispondenza introdotta nel 2016 e riservata a coloro che, per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trovano temporaneamente fuori dall’Italia e non sono iscritti all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero). Ma ciò è permesso, attraverso apposita richiesta, solo nel caso di referendum nazionali ed elezioni parlamentari.
La possibilità di voto per chi ha ricominciato altrove è uno di quegli elementi che distingue in negativo l’Italia da altri Paesi. Di fatto, superando i confini della Penisola, vigono leggi ben diverse per i fuori sede. Nello specifico:
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