Etna e vulcani con magma di tipo basaltico emettono magma fluido che si frammenta come un bicchiere di vetro rotto e poi si ricompone. Lo studio dell'INGV.
Come si rompe il magma dell’Etna? La domanda all’apparenza potrebbe interessare solo gli specialisti, ma lo studio fatto dall’Ingv aiuterà a capire e ad affrontare le conseguenze delle eruzioni esplosive. Nonostante sia particolarmente fluido, dimostra una ricerca fatta dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il magma basaltico dell’Etna e dello Stromboli si frammenta come un bicchiere di vetro che cade. Proprio perché fluido, tuttavia, molte delle fratture si ricompongono, riducendo la quantità di cenere eruttata e il suo impatto su chi vive intorno ai vulcani.
La scoperta è stata fatta da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università di Monaco (Germania) e delle messicane Universidad de Ciencias y Artes de Chiapas di Tuxtla, e Universidad Nacional Autónoma de México di Mexico City. Il lavoro, Fracturing and healing of basaltic magmas during explosive volcanic eruptions, è stato appena pubblicato su ‘Nature Geoscience’.
“Con questo studio – spiega Jacopo Taddeucci, ricercatore dell’INGV e primo autore del lavoro – abbiamo voluto comprendere le modalità di formazione delle particelle vulcaniche, dalle bombe vulcaniche, che possono raggiungere le dimensioni di una automobile e che cadono intorno al cratere, alla microscopica cenere vulcanica che, invece, si disperde anche a migliaia di chilometri. Tutte queste particelle si formano quando il magma che causa una eruzione si frammenta in modo esplosivo. Per i magmi basaltici, come quelli dell’Etna o dello Stromboli, questo processo non è ben compreso e ci sono teorie contrastanti tra i ricercatori”.
In ogni tipo di esplosione, dalle piccole esplosioni di Stromboli che attirano i turisti, ai pericolosi parossismi dello stesso vulcano, fino alle fontane di lava che in questi giorni stanno caratterizzando le attività dell’Etna, il magma basaltico mostra specifici comportamenti.
“Studiando i campioni di un numero consistente di eruzioni basaltiche – prosegue il ricercatore – abbiamo scoperto che in tutti i campioni sono presenti dei microscopici cristalli rotti. Per capire l’origine di questi cristalli abbiamo effettuato degli esperimenti di laboratorio dove abbiamo fuso delle bombe dell’Etna e, poi, abbiamo fatto esplodere la roccia fusa iniettando del gas a pressione.
Quello che abbiamo verificato – aggiunge Taddeucci – è che i cristalli sono stati rotti dalla frammentazione del magma. Le caratteristiche di questi cristalli ci dicono che il magma basaltico, all’apparenza fluido, in realtà si è frammentato in maniera fragile, come un bicchiere di vetro che cade. Ma ancora più interessante è la scoperta che, siccome alla frammentazione il magma è ancora fuso, molte delle fratture che si sono formano ‘in rottura’ poi si risaldano. Questo processo di ‘ricomposizione’ delle fratture riduce la quantità di cenere eruttata dal vulcano”.
Grazie alla ricerca, infine, in futuro sarà più facile stimare quante particelle si formeranno dalle eruzioni e quali dimensioni avranno. “È un punto essenziale per affrontare le conseguenze delle eruzioni esplosive. Inoltre, queste nuove conoscenze ci guidano anche nel percorso inverso, ossia nel ricostruire le dinamiche delle eruzioni del passato a partire dallo studio dalle particelle che hanno lasciato”. Si tratta, in sostanza, di un nuovo percorso per conoscere il vulcanesimo esplosivo.
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