Oggi l'Italia celebra i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Ce ne parla il professore emerito Nicolò Mineo, già docente Unict ed esperto tra i più noti e autorevoli in materia.
Nel 1999 il linguista e lessicografo Tullio De Mauro stupiva giornalisti e non addetti ai lavori con i risultati di una ricerca sull’uso dell’italiano. “Delle parole usate da Dante nella Divina Commedia – aveva detto allora – otto su dieci sono arrivate vive e vegete fino a noi“. L’86%, per la precisione. A distanza di 22 anni la lingua è di certo cambiata, forse quella percentuale è un po’ più bassa. Ma, si può scommettere, non di troppo. Sono passati 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e oggi in tutta Italia i versi scritti dal Sommo Poeta si trovano ovunque, dai banchi di scuola (fisici e non) fino alle storie su Instagram. Il 25 marzo, infatti, è il Dantedì, la Giornata nazionale dedicata al poeta fiorentino.
La proposta di una giornata in memoria di Dante risale in realtà al 2017, ma la ricorrenza è stata istituita ufficialmente nel 2020 su proposta del ministro alla Cultura Dario Franceschini. La data è quella che diversi studiosi riconoscono come il giorno in cui inizia il viaggio del poeta nella Divina Commedia e, proprio in vista di questo anniversario così importante, si moltiplicano le iniziative sul tema. LiveUnict ne ha parlato con uno degli specialisti più autorevoli e conosciuti sulla materia, il professore Nicolò Mineo. Già docente di Letteratura italiana all’Università di Catania, Mineo è stato in passato Direttore del Dipartimento di Filologia Moderna e poi Preside della stessa Facoltà. Dal 2010 è professore emerito di Unict.
“Debbo dire – precisa il professore in merito al Dantedì e alla data scelta per celebrarlo – che trovo culturalmente scorretto associare assolutamente il giorno dantesco a una data che moltissimi studiosi hanno sempre ritenuto possibile, ma non certa. Io sto per licenziare uno scritto in cui ripropongo l’8 aprile“.
Boccaccio, Carmelo Bene, Benigni (che stasera andrà in onda in prima serata dal Quirinale)… la Lectura Dantis è una tradizione antica quasi quanto l’autore stesso, ma è un unicum nella nostra letteratura. Anche altri poeti importanti (Petrarca, Ariosto, Leopardi) non vantano una tradizione così duratura e consolidata nel tempo. Perché leggere e declamare i versi della Divina Commedia ci incanta e intrattiene ancora oggi, dopo 700 anni? Qual è il suo segreto?
“Penso che anzitutto, per i tempi moderni, prevalga il ruolo di rappresentanza nazionale che si è conferito a Dante. E poi per il tipo di poesia: il canto con la sua brevità, essenzialità, compiutezza, marcatura fonica”.
Negli ultimi anni l’Italia sembra essersi riavvicinata a Dante. L’anno scorso l’istituzione ufficiale del Dantedì, quest’anno le iniziative per l’anniversario dantesco. Anche il successo di alcuni saggi divulgativi (Dante di Barbero è al dodicesimo posto tra i libri più acquistati a febbraio, davanti a De Lillo) è spia di una maggiore attenzione. A cosa può portare questa rinnovata vicinanza data dagli ultimi anniversari?
“Forse come italiani abbiamo bisogno oggi di bandiere sicure e riconosciute all’estero. Non sono molto entusiasta di quello che sta avvenendo. Avrei preferito che si onorasse Dante spendendo di più per la scuola di ogni ordine.
Aggiungo che sta avvenendo una diffusione di massa di una conoscenza dell’opera dantesca generica, approssimativa, superficiale, a volte errata. Stanno prevalendo la spettacolarità, come era prevedibile, ed è il minor male, e l’indottrinamento fondato sull’ovvio, ben rappresentato dalle presentazioni che vanno per la maggiore. Spero che l’effetto ultimo nel tempo sia una maggiore diffusione delle serie letture dantesche e un ritorno di attenzione nella scuola”.
Dal 2019 pubblica settimanalmente su “La Sicilia” un articolo dantesco sulla Divina Commedia. Con che approccio si parla di Dante a un pubblico non specialistico?
“Si può tentare di divulgare senza cadere nel superficiale e nell’approssimativo. Qualche amico lettore mi dice che rilegge il canto di volta in volta. Ed è un bel risultato”.
Dal liceo all’università: che messaggio rivolgerebbe agli studenti che leggono Dante oggi, lei che se ne appassionò quando faceva ancora le medie?
“Entro il quadro e la cornice storica che la determina – scrive il professore Mineo, citando da un suo articolo pubblicato sulla Revue des études dantesques –, la sua ideologia ha in sé un’istanza progressiva, una carica umana, una perennità di lezione e di suggestione, che ha sempre trovato lettori attenti e partecipi nelle epoche storiche segnate da instabilità, disorientamento, insicurezza, come fu appunto quella di Dante. E proprio in questa nostra epoca tra primo Novecento e Duemila, che hanno vissuto e vivono, sia nei decenni delle guerre mondiali come in quella che chiamiamo pace, agghiaccianti esperienze di inumani stermini e di smisurati egoismi, i valori celebrati nel poema trovano nuova attualità almeno come meta e come punto di riferimento.
Parliamo di valori come la pacifica e amorosa convivenza umana, la felicità di un’esistenza non attanagliata dall’ansia del successo a ogni costo ed equilibrata dalla ragione, la gioia del conoscere, la nobiltà di una vita liberata dalla cieca passionalità, la sicurezza di una giustizia immancabile, giusta anche nella clemenza, la certezza di un’armonia e una rispondenza tra azione e valori, fatti e ideali o umano e sovraumano. In tutto questo è l’attualità di Dante”.
Potendo scegliere un solo canto da consigliare a chi non avesse mai letto la Divina Commedia, quale indicherebbe e perché?
“Indicherei il canto XI del Paradiso. San Francesco fu un delle più grandi personalità della storia e Dante lo capì bene”.
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