Per diminuire l'impatto delle pandemie presenti e future sarà necessario invertire la rotta con una progressiva transizione ecologica. Lo studio.

Foto d'archivio.
Emergono ulteriori studi che collegano il maggiore impatto del Covid-19, in termini di decessi e terapie intensive, con fattori quali l’inquinamento ambientale, la mobilità, la densità abitativa, la densità ospedaliera, la temperatura invernale e l’anzianità della popolazione.
Lo dimostra uno studio dal titolo “A novel methodology for epidemic risk assessment of COVID-19 outbreak” pubblicato il 6 marzo sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Scientific Reports realizzato da un team interdisciplinare di docenti e dottorandi – Alessandro Pluchino, Alessio Biondo, Nadia Giuffrida, Giuseppe Inturri, Vito Latora, Rosario Le Moli, Andrea Rapisarda, Giovanni Russo e Chiara Zappalà – dei dipartimenti di Fisica e Astronomia, Medicina clinica sperimentale, Matematica e informatica, Ingegneria civile e architettura, Ingegneria elettrica ed Economia e impresa dell’Università di Catania.
Si tratta del secondo studio sul tema pubblicato da Unict, dopo quello condotto dal gruppo di ricerca diretto dal prof. Christian Mulder, titolare della cattedra di Ecologia e docente di Cambiamenti climatici all’Università di Catania.
Lo studio, già online dall’aprile 2020 in versione preprint, attraverso una nuova metodologia, è riuscito a stimare il rischio apriori dell’impatto della pandemia da Covid-19 nelle varie regioni italiane tenendo in considerazione diversi cofattori che permettono di capire il perché della differente incidenza della pandemia sul territorio italiano. “In questa maniera – spiegano i ricercatori – le regioni italiane sono state classificate in quattro diversi gruppi di rischio (molto alto, alto, medio e basso) e la graduatoria così stilata predice molto bene quello che è avvenuto realmente durante la prima e la seconda ondata di contagi e riesce a dare una spiegazione razionale e oggettiva del perché la regione a rischio maggiore sia proprio la Lombardia (rischio molto alto) seguita da Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna (fascia di rischio alto) ovvero da quelle regioni che, secondo i dati ufficiali dei decessi e delle terapie intensive, sono state maggiormente colpite dal Covid-19″.
“Nella fascia intermedia a rischio medio troviamo regioni come la Campania, la Puglia e la Sicilia, mentre fra quelle a rischio più basso il Molise e la Basilicata, che di fatto sono le regioni che hanno subìto un impatto minore – continuano i ricercatori -. La differenza fra le regioni giustifica pure le diverse misure di contenimento che andrebbero quindi correttamente differenziate non solo in base al numero corrente dei casi di infezione, ma anche in base al rischio a-priori”.
“Nell’articolo si propone anche un modello che potrebbe aiutare il decisore politico a prendere dei provvedimenti più accurati per contenere la pandemia – aggiungono i ricercatori -. Questa stessa graduatoria di rischio a-priori riesce anche a spiegare la diversa mortalità dell’influenza stagionale nelle regioni italiane, che del resto, secondo i dati storici, è molto simile a quella dell’attuale pandemia. Diversi studi recenti, in Italia e all’estero, hanno confermato simili correlazioni ed in particolare quella fra l’impatto pandemico del coronavirus e l’inquinamento atmosferico”.
“Alla luce di questi studi si impongono quindi delle scelte obbligate per cercare di contenere l’impatto di questa pandemia e altre simili che potrebbero arrivare in futuro – concludono i ricercatori -. È necessario ridurre drasticamente l’inquinamento atmosferico (la Pianura Padana è proprio una delle regioni più inquinate d’Europa) attraverso una progressiva transizione ecologica che preveda fra le altre cose una riduzione non solo della mobilità privata casa-lavoro, ma anche del numero degli allevamenti intensivi. Questa transizione va nella stessa direzione delle scelte urgenti da fare per frenare il cambiamento climatico, problema ben più grave di quello pandemico, ma ad esso fortemente correlato”.
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