La chiusura delle biblioteche universitarie ha comportato molte difficoltà per la comunità studentesca e accademica. Le biblioteche universitarie svolgono un ruolo di primaria importanza: ne abbiamo parlato con il prof. Torrisi .
Le biblioteche universitarie sono un tasto dolente per una vasta comunità fatta da studenti e studentesse, ricercatori e ricercatrice che dall’inizio della pandemia fanno i conti con la chiusura delle biblioteche. Esse hanno un ruolo fondamentale nel percorso formativo dello studente e della studentessa.
A LiveUnict, ce ne parla il prof. Claudio Concetto Torrisi, già Soprintendente archivistico e direttore AS Palermo nonché docente di archivistica presso il cdl magistrale “Studi Storici Antropologici e Geografici” dell’Università di Palermo.
“Certamente il ruolo delle biblioteche universitarie è fondamentale per l’intera comunità universitaria. Esse, in una con i vari e diversificati laboratori e specifici nuclei a ciò dedicati, sono il fulcro dell’attività di ricerca, elemento essenziale e qualificante del sistema universitario. La ricerca, la logica della ricerca non dovrebbero essere un momento ‘altro’ rispetto alla attività universitaria, quasi a separare la didattica e la ricerca. I giovani che iniziano il percorso universitario dovrebbero essere messi nelle condizioni di conoscere compiutamente le specificità del sistema bibliotecario universitario così da potere intravedere il senso e la prospettiva del ricercare e non solo imparare”.
“Avvicinare alla ricerca, come evidente, non è un problema che afferisce solo agli studenti. È il sistema universitario nella sua complessità che vive questi problemi. I prestiti interbibliotecari li ritengo una risposta antica, direi obsoleta, in un contesto che dovrebbe essere attrezzato ed organizzato in termini più avanzati. Però coglie un aspetto: la circolazione dell’oggetto libro, al di là della età di quest’ultimo, nel formato originario, piuttosto che determinare le condizioni perché lo stesso libro, patrimonio culturale, circoli attraverso la realtà digitale. Lo stesso ragionamento vale anche per i periodici, i quotidiani nazionali ed internazionali.
Al riguardo, io chiederei come mai siamo obbligati ad inseguire la possibilità di consultare strumenti di conoscenza perché stanno fisicamente lontani da noi mentre siamo subissati, in alcuni casi, da forme diverse di media che, in formato digitale, circolano, viaggiano, interagiscono. Esistono una realtà di comunicazione, forme tecnologiche e strumenti idonei che fanno circuitare media, perché lo stesso habitat non è nelle piene disponibilità della attività didattica e della ricerca?”
“La possibilità compiuta della fruizione non può costituire l’elemento terminale dello snodo della tutela e conservazione, in una con la efficace descrizione, del patrimonio culturale, e non solo di quello documentario. La fruizione non è una concessione ma, nello spirito dell’articolo 9 della Costituzione Repubblicana, è parte essenziale della tutela. Ma garantire la fruizione presuppone un lavoro complesso e costante. Abbiamo vissuto l’attivazione di forme diversificate, spesso non correlate, di sistemi informativi (magari dispersi, annullati nel tempo per mancata manutenzione) piuttosto che alla ricerca del coordinamento di tali sistemi. Invero, il sistema bibliotecario nazionale è stato fra le prime forme di sistema descrittivo omogeneo e coordinato; significativamente abbiamo pienamente attivo SBN, la rete delle biblioteche nazionali, e ad esso correlato OPAC, il sistema di ricerca di informazioni e notizie bibliografiche, sino alla localizzazione del bene/libro ricercato.
Mi chiede come affrontare il gap digitale del nostro paese. Certamente siamo in ritardo, non tanto e non solo per carenza di fondi quanto perché in ritardo il sistema paese, al di là delle norme che esistono anche in recepimento di quelle europee. Perché continuiamo a non perseguire la digitalizzazione della Pubblica amministrazione? Perché continuiamo a non disporre funzionalmente del “fascicolo” del malato (la cosiddetta cartella clinica) in formato digitale con evidenti accelerazioni nell’accesso alle informazioni ed alla individuazione della risposta clinica? Perché siamo ancora in ritardo nella formazione del “fascicolo” processuale, sia civile che penale, che snellirebbe il procedimento giudiziario? Non servono solo le risorse quanto la volontà di attivare tali strutture, creare forme di funzionale conservazione della memoria digitale e, soprattutto, la volontà di non assecondare i tanti rivoli che, negli anni, hanno visto partire forme anche faraoniche ma senza avviarsi verso un sistema compiuto.
Nell’ambito del patrimonio culturale, al cui interno si registrano punte di eccellenza in una con i tanti rivoli di cui sopra, mi sembra significativo che solo di recente si è avviata la istituzione, nell’ambito del MiBACT, della Digital Library cioè l’Istituto Centrale per la Digitalizzazione del Patrimonio Culturale. Va auspicato che il suddetto Istituto possa opportunamente operare in termini di interventi diretti e di coordinamento. Tuttavia, va rimarcato, non è una Direzione Generale quanto un istituto centrale con al vertice un dirigente di prima fascia equiparato ad un direttore generale: una forma timida per quanto un inizio; ma il mondo corre e la digitalizzazione esplode”.
“La pandemia ha fatto esplodere le contraddizioni del nostro paese. Se dapprima si teorizzava che con la cultura non si mangia oggi è venuto fuori che qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che la cultura non serve tout court, cominciamo a chiudere le scuole e le università. Proprio oggi, invece, dovrebbe rafforzarsi il sistema digitale. Sarebbe impossibile immaginare che le nuove edizioni librarie, ed anche le precedenti ove disponibili, siano fornite direttamente dagli editori, in formato digitale, al sistema bibliotecario nazionale così da garantire, nel rispetto di regole di fruizione e di garanzia dei diritti d’autore e di produzione, il facile e certo meno costoso sistema di accesso e consultazione?
Il sistema suddetto annullerebbe il tanto esecrabile, a mio parere, sistema della fotocopia ancora tanto presente in tante biblioteche: macchine per fotoriproduzione, con tessere prepagate ed altro, per il trionfo del particolarismo, dell’uso strumentale ed egoistico del libro, nella fattispecie. Magari recentemente in biblioteche e non solo è prevalso l’uso dello smartphone per fotografare in autonomia il libro. La logica dell’uso strumentale del bene resta la stessa, come è evidente, per quanto possa sembrare una conquista. Al contrario, occorrerebbe investire per riprodurre digitalmente e consentire l’accesso al bene – la fruizione -, sarebbe un modo compiuto di valorizzare il bene stesso, ne qualificherebbe l’uso non in termini elitari quanti in modalità diffusa e condivisa. Non cerchiamo il ‘mio’ libro, ora mentre lo fotocopio o lo fotografo e magari dimentico nel tempo ma ricerchiamolo, viaggiamoci dentro, digitalmente, compulsiamolo: logica di ricerca e non di mero approccio speculativo. Un sistema efficace a bassissimi costi per l’utenza, dagli studenti ai ricercatori”.
“Una domanda difficile questa. Io, forse monotonamente, risponderei che il superamento degli schematismi dei programmi non va assegnato ai programmi stessi quanto alla disponibilità alla curiosità da parte dello studente e del ricercatore, in genere. È il porsi le domande e cercare delle risposte coerenti il senso stesso della ricerca. Certo per farsi le domande dobbiamo ‘curiosare’ fra libri, riviste e quant’altro. Se ne potessimo disporre in modalità facilmente fruibile, anche a fronte di piccoli costi di servizio, potremmo iniziare il percorso di studio e ricerca che potrà magari portarci a ricercare e consultare altro ed ancora altro”.
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