Cento anni fa nasceva Leonardo Sciascia. Scegliamo di ricordarlo senza mai usare la parola "morte" ma raccontando di un amore reciproco: quello tra questo scrittore siciliano ed il cinema.
Ogni storia che si rispetti prende avvio da una data. Per questa storia, basterà controllare quella indicata oggi da schermi e calendari e modificare le prime due cifre. Di fatto, il protagonista veniva al mondo esattamente cento anni fa: l’8 gennaio 1921 nasceva a Racalmuto Leonardo Sciascia.
Qualche anno più tardi, anche quel piccolo comune della provincia di Agrigento (fonte d’ispirazione anche per Le parrocchie di Regalpetra) avrebbe accolto il cinema.
Ma cosa lega questo autore siciliano a pellicole e grandi schermi? Quel che pochi sanno è che Sciascia ha amato il cinema, almeno tanto quanto il cinema ha amato la penna di Sciascia.
La passione di Leonardo Sciascia per il cinema nasce precocemente e cresce insieme a centimetri d’altezza ed anni. È quanto si evince leggendo il saggio dal titolo C’era una volta il cinema.
“E venne il cinematografo. Il piccolo, delizioso teatro comunale diventò (e ne ebbe lenta devastazione) cinema – si legge – . Vi si facevano due proiezioni: il sabato e la domenica.
I film erano chiamati ‘parti’: una bellissima parte, per dire un bellissimo film. Si era, credo, nel 1929. Non ricordo con quale film si inaugurò il cinema: ma ne rivedo, vago e intermittente come nei sogni, dei primi piani con la faccia di Jack Holt.
Ne venne a tutto il paese una passione, una febbre, per cui dal lunedì al venerdì o si parlava del film già visto o si vagheggiava e si facevano congetture su quello da vedere”.
La gestione del cinema affidata allo zio, permise al piccolo Sciascia di vestire i panni di “spettatore privilegiato”.
I più fantasiosi forse proveranno, adesso e almeno per un istante, a sostituire l’immagine di un Leonardo, adulto con sguardo intenso e sigaretta in bocca, con quella di un bambino felice di stare sempre in un palco e a volte addirittura “in quello centrale, che era detto del podestà”, posto accanto alla cabina di proiezione.
Un bimbo non molto diverso da Salvatore, protagonista di quel Nuovo cinema Paradiso che, anni dopo, avrebbe suscitato non a caso nello scrittore innumerevoli ricordi.
Uno Sciascia che, pur non persuadendo ancora un vero pubblico di lettori, provava già a convincere l’operatore a tagliare i fotogrammi dei film più suggestivi, destinati ad arricchire la propria collezione privata.
Sarebbe semplice considerare tali parole come il semplice racconto di un aneddoto biografico. Ma, probabilmente, risulterebbe anche riduttivo. La vicenda personale diventa qui, al contrario, pretesto utile ad analizzare il comportamento di chi abita la Sicilia, microcosmo complesso.
“Il privilegio di stare in palco mi metteva anche al riparo dagli sputi che piovevano dal loggione: che non era di pura e semplice ‘vastaseria’ (cioè di maleducazione) – racconta Sciascia – , ma reazione di indignazione, di disprezzo, verso i personaggi vili, traditori e crudeli che in nessun film mancavano. Almeno così si cominciava: per indignazione”.
Alcuni tra i più interessanti scritti di questo intellettuale sono stati dedicati al cinema, oltre che al mondo in cui quest’arte ha raccontato la Terra natìa di Sciascia. Vale la pena citare, tra tutti, il saggio La Sicilia nel cinema, che chiude il volume La corda pazza.
Sciascia passa qui in rassegna le più importanti pellicole ispirate o ruotanti intorno alla Sicilia: il lettore, può, così comprendere come l’Isola sia stata rappresentata negli anni dai registi.
Secondo Sciascia, la Sicilia entra nel cinema con Giovanni Grasso, protagonista del film Sperduti nel buio: gente che gode e gente che soffre, diretto dal siciliano Nino Martoglio e che tanto, a suo parere, doveva a Verga. E, poi, proprio attraverso le opere di Verga e l’adattamento di Cavalleria rusticana di Ugo Falena che la Sicilia, con il suo paesaggio ed i suoi interni, sarebbe entrata nell’occhio del cinema.
In questo saggio, Sciascia riconosce ai conterranei Vittorini, Brancati e Quasimodo il merito di aver trattato i tre diversi temi siciliani al cinema: la Sicilia come “mondo offeso”, la Sicilia come teatro della commedia erotica e la Sicilia come luogo di bellezza e di verità.
Critica le scelte linguistiche adottate da Visconti per La terra trema: secondo l’autore, di fatto, il vernacolo stretto aveva reso la pellicola meno moderna dei Malavoglia di Verga.
Considera Il bell’Antonio di Mauro Bolognoni “mediocre e fatuo” ma esalta il film Salvatore Giuliano, firmato da Francesco Rosi. Questo, accolto da contadini non abituati a frequentare i cinematografi con “lo stupore che si prova dinanzi alla realtà riprodotta da un mezzo tecnico non conosciuto”, era stato in grado di rappresentare la Sicilia con preciso realismo e minuziosa attenzione.
Chiude il saggio l’analisi del Mafioso di Alberto Lattuada, dove tutto sarebbe mafia: la visione del film del 1962 innesca nello scrittore una riflessione acuta.
“Noi che più volte ci siamo occupati della mafia, in libri ed articoli – ammette Sciascia – , siamo stati presi dal dubbio se il continuare a parlarne non finirà col rendere alla mafia quell’utile stesso che prima le rendeva il silenzio“.
Quanto spesso, leggendo i botta e risposta tra il capitano Bellodi e don Mariano, abbiamo immaginato di poterli vedere o di riuscire ad ascoltarne le voci? Questo è possibile perché le opere sciasciane sono caratterizzate da dialoghi rapidi e pieni di brio, quasi sceneggiature.
Di conseguenza, è stato quasi naturale trasformare le più belle pagine di Leonardo Sciascia in pellicole.
Nel 1967 esce A ciascuno il suo seguito, diretto da Elio Petri, lo stesso che nel 1976 avrebbe diretto anche Todo modo. È del 1968, invece, Il giorno della civetta di Damiano Damiani.
Andranno, poi, ricordati, Una vita venduta (del 1976), con colonna sonora composta da Ennio Morricone e Aldo Florio come regista, Una storia semplice (1991) e Il consiglio d’Egitto (2002), entrambi di Emidio Greco.
Così, a distanza di anni da quella prima visione all’interno della sala cinematografica di Racalmuto, il cinema ha idealmente riconosciuto la passione di un uomo che, ancor prima di essere scrittore, giornalista, politico ed anche sceneggiatore, è stato un appassionato spettatore.
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