L'emergenza sanitaria ha portato alla luce alcuni problemi della società: didattica a distanza e smart working sono mezzi di uguaglianza o sottolineano le differenze?
L’emergenza sanitaria ha aperto il vaso di pandora in merito alle diseguaglianze sociali, diventate sempre più evidenti traducendo una realtà triste e desolante: gli “ultimi” rimangono sempre “ultimi” e devono affrontare piccoli problemi quotidiani che nell’insieme diventano afasia, blocco della vita, ansia per il futuro e senso di inadeguatezza.
Poveri sì, poveri no: come si declina la povertà nell’era dell’emergenza sanitaria? Quali sono le categorie più colpite? Cosa significa per loro vivere la pandemia? Proviamo a riflettere insieme analizzando tre categorie molto colpite: gli studenti e le famiglie, i senzatetto ed i lavoratori in nero.
Come riportato dal Sole 24 ore “300 mila studenti sono senza pc o connessione internet”. Lo scorso 27 ottobre il governo ha firmato il Decreto Ristori per sopperire al gap digitale che impera nel nostro paese: sono stati stanziati 85 milioni per il “Fondo per l’innovazione digitale e la didattica laboratoriale del ministero dell’Istruzione. Dalla scorsa primavera studenti e studentesse di ogni ordine e grado si sono ritrovati di fronte ad una nuova realtà quotidiana: la famigerata didattica a distanza o Dad. Se per alcuni potrebbe essere comodo rispondere alle domande del prof. di filosofia direttamente dalla propria cameretta con le babbucce calde e comode, la mamma che ha preparato il latte caldo cinque minuti prima dell’interrogazione, per altri la situazione non è così semplice e confortante.
Cosa ne sappiamo di chi non ha la possibilità di connettersi ad Internet, di chi non ha un proprio spazio per studiare, realizzare, creare, rispondere alle domande dei professori senza sentire il fratello più piccolo piangere nella stessa stanza? Ci siamo sufficientemente messi nei panni di chi non ha i mezzi? E se da una parte crediamo che tutti dispongano di una connessione internet, dobbiamo fare i conti con una realtà più triste: non tutti, ahimè, ne hanno la possibilità.
Non tutte le famiglie hanno Mac a disposizione per i propri figli e devono scontrarsi con l’ultima bolletta da pagare, con una miseria quotidiana che traduce precarietà, incertezza per il futuro, frustrazione e apatia alla vita. Cosa significa non avere connessione internet? Non essere in grado di seguire le lezioni? Non avere uno spazio per studiare e lavorare? Cosa significa non avere strumenti necessari? Senso di incertezza, frustrazione, mancata possibilità di imparare, di conoscere e di raggiungere i propri obiettivi. Se non si hanno mezzi diventa impossibile seguire le lezioni, interagire: assentarsi involontariamente dall’atto maieutico dell’apprendimento diventa la soluzione.
Dagli applausi sui balconi di mezzo mondo, dai divani comodi delle nostre case, durante il primo confinamento abbiamo rivalutato gli spazi interni ed il concetto di “casa”. Comodi a guardare una serie su Netflix, sdraiati a leggere un libro con un calice di vino. Proviamo, invece, ad immaginare chi non ha un tetto sulla testa, chi si ritrova ai margini delle strade per cui le parole “restate a casa” non hanno valore: se non si ha una cosa, come si fronteggia l’emergenza sanitaria?
Viene da interrogarsi sulla loro condizione, sul loro modo di vivere la pandemia, che diventa l’ultimo dei problemi, uno dei tanti mali che si incontra nel cammino della vita. Rimanere privati dei propri spazi, della propria intimità, della possibilità di vivere tranquillamente sorseggiando un caffè sul divano, semplici cose che diventano macigni da sopportare quotidianamente. Tuttavia, questa pseudo-normalità viene persa dai cosiddetti “nuovi poveri” che a causa dell’emergenza sanitaria si ritrovano sul ciglio di una strada, dormendo in macchina, con figli e famiglia a carica. Siamo o non siamo sull’orlo della schizofrenia sociale?
Siamo tutti presi dagli acquisti di Natale, dallo shopping frenetico e dalla voglia di comprare qualcosa, forse sarebbe il caso si sederci, fare un respiro e pensare a dove stiamo andiamo, cosa stiamo facendo e perché mentre noi possiamo acquistare l’ultimo modello di cellulare, esistono persone, esseri umani che non hanno il diritto ad un bene primario come la casa.
Altra categoria in difficoltà è rappresentata dai cosiddetti lavoratori in nero, categoria dimenticata, ipocritamente nascosta dal sentire comune. Se non si ha un contratto di lavoro che garantisca i diritti essenziali e si lavora “a giornata” cosa rappresenta il telelavoro?
Non si conosce, non si vive, non si riesce ad essere parte della catena sociale, perché si è privati delle più basiche regole del vivere civile. Come si va a fare la spesa se non si hanno i soldi per farla? Cosa significa dire ai propri figli che bisogna saltare la cena perché la pasta è finita a pranzo? Cosa significa accozzare una vita incerta, priva di futuro e senza una bussola? Né vincitori né vinti, una massa informe di sommersi, senza salvati. Riusciremo ad essere veramente migliori e permettere a tutti di avere una vita degna di essere vissuta?
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