Le ammissioni all'università tramite il voto di diploma si chiudono con molte polemiche e un grosso interrogativo: non si potevano adottare altre alternative? Le soluzioni adottate da numerosi atenei italiani dimostrano di sì.
L’anno accademico 2020/2021 sta per iniziare e ai blocchi di partenza si presenteranno soltanto (o quasi) giovani eccellenze. I test d’ammissione ai corsi a numero programmato locale, infatti, sono stati aboliti: si entra col voto di diploma, con precedenza ai candidati più giovani. Largo alle belle speranze degli anni 2002 e 2001, quindi. Non c’è spazio per chi ha perso un anno, magari preparandosi per immatricolarsi l’anno successivo, o, peggio ancora, per chi non ha ottenuto un voto abbastanza alto alla maturità. Per loro non resta che aspettare gli scorrimenti o immatricolarsi a uno degli 11 corsi ad accesso libero.
Per fortuna, gli esami di maturità 2020 hanno sfornato eccellenze in quantità. Stando ai dati del MIUR, quest’anno i 100 sono quasi raddoppiati, passando dal 5,6 dell’anno scorso al 9,9% di quest’anno. I voti dal 91 al 99, invece, sono aumentati dal 9,7% del 2019 all’attuale 15,9%. Un effetto, si direbbe, miracoloso, anche se i malpensanti potrebbero attribuire questa lievitazione dei voti all’assenza di commissari esterni (fatta eccezione per il presidente) o alle diverse modalità della prova e del calcolo del voto, piuttosto che alla solerzia di tanti studenti nel periodo di quarantena.
L’effetto sulle liste dei candidati ammessi, però, non è stato altrettanto lieto. I voti in media molto alti della maturità 2020 hanno appiattito le graduatorie su una sfilza di 100, generando frustrazione e casi paradossali, in cui studenti a parità di voto risultano esclusi perché nati pochi giorni dopo i loro predecessori. È il caso, per esempio, del corso in Chimica e tecnologie farmaceutiche, dove a fronte di 113 posti, 225 candidati avevano un voto compreso tra il 100 e il 100 e lode. O di Biotecnologie, dove, oltre a un errore tecnico che non ha sul momento calcolato le lodi delle aspiranti matricole, su 336 candidati con 100 o 100 e lode c’è posto per 90 studenti.
Non si tratta, del resto, di problemi isolati. Negli ultimi giorni, decine di studenti hanno protestato contro la modalità di immatricolazione per il prossimo anno accademico, rimpiangendo i tanto criticati test d’ammissione. “Mi sono iscritto dopo diversi anni che ho finito la scuola – si legge tra i tanti commenti –, ai tempi non avevo gran voglia di studiare, ma quando mi sono iscritto ero invece motivato, infatti il test d’ingresso lo superai in scioltezza. Non puoi ancorare le persone ad un voto che non sempre li rappresenta“. C’è, poi, chi fa paragoni, legittimi o meno, tra i diversi istituti superiori: “Praticamente chi è uscito da 100 da un alberghiero (senza nulla togliere a questa scuola) entra in farmacia, rispetto a un 95 che è uscito da un liceo”. Date tutte le perplessità, resta solo una domanda da farsi: si poteva fare diversamente?
Lo dice bene già il titolo del paragrafo: la risposta è sì. Basta farsi un giro sui siti di diverse università italiane per capire che la soluzione adottata nella maggior parte dei casi è stata di mantenere i test d’ammissione per i corsi a numero programmato locale, svolgendoli online. L’Università Statale di Milano, per esempio, ha svolto le prove d’ammissione da remoto, nella modalità TOLC@CASA. Sono previsti tre periodi nel corso dell’anno per tentare l’ammissione e nel caso in cui non si passi al primo tentativo, si può tentare in un secondo momento.
Modalità simili sono state previste anche dall’Università di Bologna sin dal mese di maggio, ma anche La Sapienza di Roma si è adeguata, laddove non era già previsto l’accesso libero. La Federico II di Napoli, invece, ha adottato per quest’anno una modalità mista, con selezioni sulla base del diploma per alcuni corsi (come Scienze e tecniche psicologiche) e l’uso dei TOLC per altri, quali Biotecnologie, Chimica e Biologia. Test di ammissione da remoto, infine, sono stati adottati anche da atenei più piccoli, quali quello di Udine (TOLC@CASA) e di Trento (in questo caso, con prove in presenza in diverse sedi in tutta Italia), per fare qualche esempio.
Per quanto riguarda le università siciliane statali, infine, Palermo ha proposto ai suoi futuri studenti dei test online, adeguandosi alla tendenza che è andata per la maggiore. Messina, invece, ha previsto un sistema di prenotazione online dei posti disponibili, assegnati per ordine cronologico fino a loro esaurimento.
A differenza di molti atenei, l’Università di Catania ha adottato il voto di diploma e l’età anagrafica come unici criteri per quasi tutti i dipartimenti, salvo dove diversamente stabilito dal Ministero dell’Università e della Ricerca. I primi segni in questa direzione si erano già visti a fine aprile. Nello stesso periodo in cui l’Ateneo rinunciava ai TOLC, annullando quelli già in programma, in altre parti d’Italia venivano implementati anche da remoto, prospettando la possibilità di consentire l’ammissione con voto di diploma come unico criterio.
Poi c’è stata la conferma nel corso di una nostra intervista, quando il rettore Priolo aveva ribadito l’esigenza di semplificare il più possibile e ridurre al minimo il rischio contagio. Infine, a giugno, la decisione di sostituire solo per l’anno 2020/2021 il test d’ammissione con il voto di diploma. In primis per garantire la sicurezza degli alunni. In secondo luogo, per “venire incontro alle famiglie”, come dichiarato dal rettore ieri, consentendo di risparmiare i costi per la partecipazione alle prove. Cifra pari a 30 euro per ogni prova di ammissione, se si guarda al bando dell’anno scorso.
Un investimento tutto sommato fattibile, quando si parla di decidere il proprio futuro accademico e professionale. Specie se era possibile farlo da casa, in sicurezza. Alle matricole che in questi giorni attendono gli scorrimenti, non resta che sperare nella seduta convocata dal rettore per i prossimi giorni, quando si deciderà l’eventuale “ampliamento del numero di studenti ammissibili ai corsi di studio”.
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