In Italia si nota una controtendenza nella fuga dei cervelli, che porta i giovani che vivono al di fuori del Belpaese a ragionare su un possibile ritorno.
Da anni e anni, l’Italia si svuota di centinaia di giovani, che decidono di lasciare la propria terra natia per cercar maggior fortuna ed impiego in altri stati. Allo stesso modo, una delle annose sfide dei vari governi è fare in modo che i “cervelli in fuga” non aumentino, cercando nuovi incentivi per spingere i giovani a restare.
Eppure, quest’anno, questa tendenza sembra aver cambiato direzione. Lo aveva già preannunciato l’indagine della startup Talents in motion, che ipotizzava sulle “condizioni della ripartenza del Paese alla luce del post pandemia”, potendo “contemplare, in varie forme e in vari modi, un ritorno a casa della generazione Erasmus“.
La conferma arriva, invece, dal rapporto Italia 2020 di Eurispes. Come riportato in una nota scritta da Saverio Romano, presidente dell’Osservatorio Mezzogiorno, “i cambiamenti di tipo strutturale che hanno interessato il mondo del lavoro, l’affermarsi dello smart working, l’insicurezza dovuta alla paura del contagio e la perdita di posti di lavoro che si è registrata nei grandi gruppi internazionali ha favorito questa tendenza che vedrebbe il 71% dei giovani migrati all’estero desiderosi di fare rientro in Italia”.
Solo frutto della paura della pandemia? Non proprio. Anche alcune iniziative recentemente approvate avrebbero influenzato positivamente il dato. “Rientrano in questa prospettiva – si continua leggere nella nota – sia l’applicazione del decreto Semplificazioni appena approvato e lo sblocco dei concorsi pubblici per rinnovare gli organici e per creare sbocchi professionali ad una platea di giovani che hanno acquisito competenze e conoscenze di alto livello.
Gli ingredienti ci sono tutti – conclude Romano – e l’impegno di Eurispes nel Mezzogiorno è finalizzato anche alla creazione di quei presupposti e di quelle sinergie utili a potenziare i veri fattori di crescita, di modernizzazione e innovazione, e ad uscire da logiche di assistenzialismo e di corto respiro che condannerebbero il Sud alla marginalità economica e sociale per i prossimi decenni”.
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