L'idea di un Ponte sullo Stretto di Messina è sopravvissuta all'impero romano, al fascismo, alla Prima Repubblica, e, forse, anche a Berlusconi. L'opera incompiuta più famosa d'Italia è tornata d'attualità in questi giorni, ma, se la storia insegna, anche questa volta le possibilità che si concluda qualcosa sembrano poche.
Se i siciliani avessero donato un euro per le infrastrutture dell’Isola ogni volta che qualcuno ha proposto la realizzazione di un ponte sullo Stretto di Messina, a quest’ora il viadotto Himera sarebbe stato riparato da almeno un paio d’anni, la Catania-Ragusa completata a tempo record e la rete ferroviaria della Sicilia non avrebbe niente da invidiare al resto d’Italia.
Il progetto del Ponte (talmente emblematico da meritarsi la maiuscola) torna ciclicamente nel dibattito politico e affonda le sue radici nei giorni della Res Publica romana. Da allora, tutti quelli che hanno governato le due estremità dello Stretto si sono ingegnati nello studiare un modo per collegare la Sicilia al continente. Il Ponte, dal canto suo, ha superato i limiti della concretezza fisica per diventare simbolo dell’eterna insularità dei siciliani, che nessuna volontà umana può sperare di vincere.
I primi a pensarci, e, forse, gli unici a riuscirci, furono i romani. Plinio il Vecchio, infatti, racconta nella sua Naturalis Historia come il console romano Cecilio Metello, vincitore di Asdrubale nella prima guerra punica, nel 251 a.C. abbia tentato di trasportare da Messina a Reggio Calabria un centinaio di elefanti da guerra attraverso un collegamento di navi e botti galleggianti.
Nei secoli successivi ci avrebbero pensato anche Carlo Magno e il normanno Roberto il Guiscardo, ma all’epoca era obiettivamente più conveniente attraversare lo Stretto in barca. Senza contare, inoltre, che i collegamenti con la Sicilia spesso “saltavano” la Calabria tramite rotte navali, che collegavano i principali porti dell’Isola con quelli del resto del Mediterraneo.
La storia cambia, invece, dall’Unità d’Italia in poi, con la realizzazione della ferrovia fino a Reggio e l’esigenza di una continuità che concretizzasse anche fisicamente l’unità politica. “Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente”, dichiarava l’onorevole Giuseppe Zanardelli nel 1876, mentre sei anni prima l’ingegner Carlo Alberto Navone, ispirandosi al tunnel sotto la Manica, pensava a un collegamento sottomarino anche per la Sicilia.
Poi, il devastante terremoto del 1908 rase quasi al suolo Messina, mietendo oltre 80 mila vittime, e il Ponte non fu più una priorità. Qualche progetto venne pensato ancora in epoca fascista, nel 1934, con il tentativo del generale del genio navale Antonio Calabretta e con quello, l’anno successivo, del comandante Filippo Corridoni, ma anche questi naufragarono nella tempesta della Seconda Guerra Mondiale.
Terminato il conflitto, le idee sul Ponte ricominciarono nella fase repubblicana, con il progetto elaborato nel 1952 dal famoso ingegnere americano David B. Steinman, e la costituzione, tre anni dopo, della Gruppo Ponte di Messina S.p.A.
Lo sforzo più importante, tuttavia, arrivò nel 1969, con il “Concorso internazionale di idee” che vide la presentazione di 143 progetti e 12 vincitori: uno stanziamento che, per i soli studi preliminari, costò 3 miliardi e 200 milioni di lire. Dal concorso si affermarono tre tipologie di collegamento: un ponte “strallato”, nel quale l’impalcatura è retta da una serie di cavi ancorati a piloni di sostegno, più idoneo al traffico ferroviario perché meno deformabile di un analogo ponte sospeso; un ponte sospeso (varie tipologie: classico, a quattro o cinque campate o a luce unica); il “ponte di Archimede“, un tunnel a mezz’acqua ancorato al fondo tramite cavi in acciaio, sostenuto per la maggior parte dalla spinta d’Archimede, soluzione che negli anni ’70 è stata spesso presentata come più economica e a minore impatto ambientale.
I progetti si avvicendarono negli anni e un passo in avanti avvenne solo nel 1981, con la nascita della concessionaria Stretto di Messina S.p.A., che da allora ebbe la competenza esclusiva sulla progettazione e realizzazione dell’opera. Nel frattempo, la girandola di dichiarazioni dei politici continuò instancabile, con conferme non solo nella volontà di fare il Ponte, ma di completarlo in tempi relativamente brevi (in un primo momento, si pensava di renderlo operativo entro il ’95).
Se a 35 anni da quel “certamente prima del Duemila” viene da sorridere, la voglia passa ricordando le spese sostenute per il progetto nel corso degli anni. Ad ogni modo, l’idea del Ponte sullo Stretto riemerse anche dalla Prima Repubblica, diventando uno dei cavalli di battaglia del berlusconismo. La prima proposta arrivò durante il suo primo governo nel ’97, ma assurse a simbolo del rilancio della Sicilia nella campagna elettorale del 2001. Per poi tornare, negli anni, in qualunque altra campagna fatta in Sicilia dal leader di Forza Italia, fino alle regionali del 2017. A mettere la pietra tombale sull’idea del Ponte ci aveva pensato l’ex premier Mario Monti, con la messa in liquidazione della società dello Stretto di Messina nel 2013, finché, reviviscenze elettorali a parte, se n’è tornato a parlare di nuovo.
A raccogliere l’eredità propagandistica di Berlusconi ci ha pensato qualche giorno fa il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, nel suo ultimo libro La mossa del cavallo. Come ricominciare, insieme. Qui si leggono frasi come “serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza”, che, rimbalzate su diverse testate, hanno invaso il dibattito pubblico.
Ma le sole dichiarazioni dell’ex premier non sarebbero bastate a far rinascere la “voglia di Ponte” alla politica italiana. Buona parte di questo revival del progetto al gusto anni ’90 viene dai Recovery Fund promessi dall’Unione Europea per rilanciare i Paesi colpiti dalla crisi. All’Italia spetterebbe la cifra monstre di 81 miliardi a fondo perduto e 91 di prestiti. Peccato, però, che il piano proposto dalla Commissione europea debba ancora ricevere l’approvazione dal Consiglio straordinario dei primi ministri, con gli Stati del Nord Europa pronti a dar battaglia.
Nel frattempo, l’Italia si porta avanti, pensando a come spendere quei soldi. La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli parla di una possibile fase di studi e progettazione (vedi supra) e, mentre il premier Giuseppe Conte, più cauto, ha scomodato D’Annunzio parlando di “opere imaginifiche”, alla Camera è nata anche una mozione sul Ponte sullo Stretto. Dalla sponda siciliana, favorevoli sia il governo regionale guidato da Musumeci che alcuni sindaci delle città metropolitane, tra cui, a Catania, Salvo Pogliese.
La storia del Ponte che non c’è meriterebbe, per quanto raccontato finora, un posto di rilievo nell’atlante delle architetture frutto della fantasia umana, accanto ai progetti visionari dei più grandi architetti del mondo. Finché ne parlano i politici, tutto sembra assumere i contorni indefiniti e luminosi del progressismo, ma, guardandosi indietro, l’impressione è che Sicilia ed Europa rimarranno sempre separate da un braccio di mare, com’è sin dall’antichità.
Dai tempi di Omero, lo Stretto è guardato da Scilla e Cariddi, i due mostri mitologici a cui inevitabilmente i marinai dovevano passare vicino. I normanni, invece, osservarono in Sicilia il fenomeno della Fata Morgana, l’illusione ottica che prende il nome dall’omonima creatura della mitologia celtica del ciclo arturiano e che, confondendo i viaggiatori con i suoi poteri, ne faceva naufragare le imbarcazioni. Persino la società che si occupa dei traghetti da e per Messina, la Caronte&Tourist, deve il nome al nocchiero infernale che trasporta le anime dannate da una sponda all’altra del fiume Acheronte.
Cos’è, quindi, il Ponte, se non il simbolo più concreto della volontà di lasciarsi alle spalle le leggende e dimostrare che anche la Sicilia può virare verso le “magnifiche sorti e progressive”, con alta velocità, trasporto su gomma, diminuzione dei tempi di attraversamento e tutto il resto? Nonostante ciò, se la storia insegna, il Ponte sembra destinato a rimanere un’opera di fantasia (la ricerca “Ponte sullo Stretto di Messina esiste”, su Google, è tra i primi risultati), a perdersi nel mito delle eterne opere incompiute. Ai siciliani resteranno i rendering dei tanti ponti possibili e, per chi ci crede, la continua attesa dell’unico vero.
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