La dimensione social è ormai a pieno regime entrata nella quotidianità dei soggetti, diventati ufficialmente “profili”. Ma che tipo di utenti siamo? LiveUnict lo ha chiesto al professor Davide Bennato.
Il XXI secolo ha segnato la virata della nostra società sempre più verso il digitale. Lo smartphone è il simbolo di questa rivoluzione: è un mezzo che, quasi come fosse un’estensione del nostro stesso corpo, ci ha resi soggetti perennemente connessi, dotati di device dai quali prendere ciò che si desidera quando lo si desidera, cambiando radicalmente la nostra esperienza mediale.
Dal rapporto Digital 2020 Italia di We Are Social possiamo vedere che gli internet users dai 16 ai 64 trascorrono sul web quasi 7 ore e hanno praticamente nella totalità utilizzato un social media nell’ultimo mese, trascorrendo sui social media quasi 2 delle 7 ore totali trascorse su internet. Un dato interessante è che nel 2020 il 31% degli utenti social utilizza queste piattaforme per lavoro, contro l’11% dell’anno scorso.
Oggi il messaggio è personale, viene confezionato appositamente per gli utenti, ed i social network sono i mezzi privilegiati per far arrivare qualunque tipo di messaggio ad una selezionata platea di consumatori mediali. Il rapporto Digital 2020 Italia rivela che i soggetti attivi su internet sono quasi 50 milioni, l’82% della popolazione italiana, 35 milioni dei quali (il 58%) attivi sui social media. Mark Zuckerberg, padre di Facebook, nel 2019 ha dichiarato: “Il futuro è privato”, l’utente dei social media vuole un’esperienza cucita su misura per lui/lei, fruisce di contenuti personali, scelti. Questa tendenza alla personalizzazione è un cambiamento caratterizzante della nuova era dei social media.
Ed è proprio questo lo spunto da cui partono le nostre domande al prof. Davide Bennato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Sociologia dei media digitali e Sociologia delle comunicazioni di massa presso l’Università di Catania.
La comunicazione personalizzata può chiuderci nelle nostre bolle erodendo la nostra capacità critica e la nostra disponibilità all’ascolto del parere dell’altro?
“Io credo di si – commenta il prof. Bennato -. Esistono diverse ricerche che mostrano come l’alta personalizzazione dei contenuti fa si che le persone si chiudano in una bolla comunicativa in cui non c’è spazio per idee diverse dalle nostre. Bisogna fare in modo di ‘rompere’ questa bolla altrimenti si corre il rischio di incrinare la democrazia, dato che è una forma politica che nasce dal confronto tra posizioni diverse”.
Al primo posto c’è YouTube, seguito da WhatsApp, Facebook e Instagram, quest’ultimo in brillante ascesa. Eppure, se si parla di quantità di tempo trascorso online quotidianamente vince Facebook – il social network sul quale gli italiani trascorrono la maggior parte del proprio tempo. Riferendoci in particolare a Facebook e Instagram possiamo affermare poi che il pubblico mediale di queste piattaforme è perfettamente equilibrato nei generi.
Per quanto riguarda il panorama informativo, l’impatto dei social media – il fatto di potersi informare quasi “in diretta” dal proprio smartphone – sta intaccando il potere di influenza del “classico” mezzo televisivo?
“L’ingresso dei social nella vita quotidiana ha sicuramente creato una forte competizione verso i mass media, televisione in particolare. Si è così venuta a creare una riorganizzazione della dieta mediale in cui televisione e social giocano ruoli diversi. Per esempio in questi mesi di lockdown la televisione è stata uno dei principali canali informativi, mentre i social hanno rinforzato la loro natura di spazi di interazione sociale”.
Gran parte dell’esperienza che facciamo sui social media come Facebook e Instagram sembrerebbe basarsi sul piacere, sul far scattare il “like” alle proprie attività sui social. Il desiderio di risultare piacevoli e interessanti ha delle ricadute sul nostro modo di essere e di rapportarci con gli altri?
Il prof. Bennato commenta questa tendenza spiegando che “Sicuramente le persone subiscono l’influenza dei like, ma non tutti allo stesso modo. Alcuni li considerano delle reazioni alle proprie idee, altri costruiscono post proprio per risultare socialmente gradevoli alla propria bolla comunicativa. Il termine che si usa nelle scienze sociali è peer pressure (pressione tra i pari) che può avere interpretazioni positive (voglia di confrontarsi con le persone) o negative (conformismo acritico)”.
C’è differenza tra gli utenti under e over 30 riguardo all’utilizzo dei social media per informarsi e per relazionarsi con la propria cerchia di amici?
“La differenza non è tanto della classe d’età – commenta il docente – quanto dalle caratteristiche dei consumi culturali che possono essere ricchi (molto variegati) oppure poveri (poco variegati). Se ho dei consumi culturali ricchi – social media, televisione, libri, radio, eccetera – avrò molte cose in comune con chi ha consumi altrettanto ricchi. Viceversa chi ha consumi culturalmente poveri potrà relazionarsi solo con chi ha consumi poveri. Di solito i contatti social vengono costruiti sulla base delle cose che si hanno in comune, e quello dei consumi culturali può essere un elemento importante, per quanto non esclusivo”.
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