L'indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sui lavoratori e sulle professioni che presuppongono il contatto diretto con la clientela e le protezioni da utilizzare.
Sono 6 milioni 145 mila i lavoratori di “prossimità” in Italia – camerieri, commessi, operatori sanitari e infermieri, parrucchieri ed estetiste – che per svolgere le proprie mansioni necessitano del contatto diretto, in alcuni casi fisico, con il pubblico. Una categoria che, una volta finito il lockdown ed iniziata la Fase 2, dovrà cambiare lo stile di lavoro, a fronte delle norme di sicurezza per il contenimento del Coronavirus.
È quanto emerge dall’indagine “Come cambieranno le professioni di prossimità” della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “Bisognerà fare i conti con una revisione dell’organizzazione dei luoghi di lavoro, assicurare il contingentamento degli accessi, fornire protezioni individuali e garantire una maggiore attenzione all’igiene e alla cura dei locali – precisa il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca – Si tratterà di un cambio epocale, di cui peraltro non se ne conosce la durata. E ciò renderà particolarmente difficile l’adattamento ai nuovi modelli organizzativi delle aziende più piccole“.
Il primo grande gruppo è rappresentato da commercianti e addetti alle vendite (dal settore alimentare al settore di abbigliamento), ovvero quanti lavorano a diverso titolo nel commercio, con un rapporto a diretto contatto con la propria clientela. L’indagine parla di 1 milione 723 mila lavoratori (il 28% delle professioni di prossimità), molti dei quali tuttavia non si troveranno impreparate all’apertura avendo già avuto modo di adattarsi nella fase del lockdown alle nuove regole, che tuttavia potrebbero diventare più stringenti: protezioni individuali e contingentamento degli accessi diventeranno la regola, ma al tempo stesso vi sarà un impegno maggiore anche nel supportare la clientela nel processo d’acquisto per evitare possibili contaminazioni tramite merci.
Per gestire l’affluenza, si pensa un organizzazione del lavoro per ampliare gli orari di apertura dei negozi. Saranno, inoltre, potenziate le strategie di marketing tra cui: la vendita online su piattaforme o strumenti dedicati, le consegne a domicilio e anche campagne promozionali ad hoc, per smaltire magari gli acquisti effettuati per la stagione primaverile prima che termini. In tal modo, per ridurre il contatto diretto e il rischio della diffusione del virus.
L’indagine mette sotto la lente di ingrandimento anche i lavoratori del settore della ristorazione (1 milione e 154 mila di unità pari al 18,8% delle professioni di prossimità): per molti il rientro al lavoro sarà traumatico, in quanto implicherà, oltre all’adozione delle misure di protezione individuale, una vera e propria riorganizzazione della modalità di lavoro.
Gli spazi dovranno essere ri-progettati secondo le misure di sicurezza fino ai tempi di lavoro, laddove sarà ipotizzabile una estensione del modello del doppio turno (sia a cena che a pranzo). Da non sottovalutare la possibilità del delivery che già da marzo è in funzione in diversi locali.
Gli operatori sanitari dovranno essere sottoposti a nuove procedure e tecniche di lavoro, per garantire quanto più possibile la sicurezza propria e dei pazienti. Sono 976 mila gli addetti tra tecnici (radiologi, fisioterapisti, etc) e figure qualificate nei servizi sanitari e assistenziali (infermieri, operatori sanitari e così via), a cui si aggiungono 302 mila medici: oltre alla fornitura dei necessari dispositivi di sicurezza, e ad un’attenzione maggiore all’igiene di ambienti e strumenti di lavoro, sarebbe auspicabile anche un rafforzamento dell’orientamento alla sicurezza e soprattutto alla prevenzione, per garantire la salute personale e dei pazienti.
Centrale sarà per chi lavora nelle strutture la revisione dell’organizzazione e soprattutto della gestione dell’utenza, al fine di garantire, anche attraverso una più funzionale organizzazione degli spazi e dei percorsi, la sicurezza del personale sanitario e dell’utenza stessa che, come visto, ha rappresentato una delle principali carenze anche nella gestione dell’attuale fase emergenziale.
A questa categoria appartengono professioni come parrucchieri e barbieri, estetisti, massaggiatori, etc. ( 776 mila occupati, pari al 12,6% del totale delle professioni di prossimità).
Queste sono le professioni che stanno a maggiore contatto fisico con il cliente, pur non avendo come quelle sanitarie, quel bagaglio formativo di tipo “sanitario” che sarebbe stato molto utile in questo momento. Anche per loro la ripresa significherà una riorganizzazione a tutto tondo, e non sempre facile, delle attività. A partire dal mestiere vero e proprio (si pensi alla dimensione della manualità, elemento distintivo di tali lavori, vincolato dall’obbligo dei guanti) all’organizzazione degli spazi, al contingentamento delle entrate, a una maggiore attenzione per l’igiene e cura dei locali e degli strumenti di lavoro.
Compiti non proprio facili per tante piccole strutture abituate a convivere con le piccole dimensioni. Un soluzione possibile è il prolungamento degli orari di lavoro per garantire l’adeguato contingentamento dei flussi di clientela. Obbligatoria sarà la prenotazione degli appuntamenti.
La fase di emergenza non risparmia gli operatori delle pulizie a domicilio (449 mila, pari al 7,3%). Lavori per lo più sospesi nel corso della crisi, che saranno probabilmente tra primi a riprendere.
In questo caso è facile pensare che, a parte la temporanea sospensione dell’attività, poco cambi all’interno delle mura domestiche, salvo il rispetto di quelle norme minime di sicurezza che ormai contraddistinguono ogni rapporto sociale, anche in famiglia.
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