Concorsi truccati, lettera di TRA-ME a Mattarella: “Riforme o Paese non ha futuro”

Il testo integrale della lettera aperta dell'associazione Trasparenza e Merito per una riforma non più rimandabile del sistema di reclutamento universitario.

In seguito allo scandalo sui presunti concorsi truccati che ha coinvolto l’Università di Catania, l’associazione Trasparenza e Merito, a cui sono iscritti oltre 400 tra professori (ordinari e associati), ricercatori (a tempo determinato e indeterminato) e studiosi (assegnisti di ricerca, borsisti post-dottorato, dottori di ricerca) ha scritto un accorato appello alle istituzioni, in primis al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al Ministro per l’istruzione, l’università e la ricerca Marco Bussetti, per evidenziare l’emergenza costituzionale nel mondo universitario e chiederne un’attenta riforma. Di seguito, il testo dell’associazione.

Le continue e costanti notizie della rete di scandali legati alla irregolarità dei concorsi universitari pongono una riflessione che è ad un tempo profonda e di sistema. Non ci troviamo, purtroppo, di fronte a fatti episodici, quanto piuttosto davanti a un malcostume diffuso, una rete di comportamenti illeciti estesa a molti Atenei, che richiede una presa di coscienza collettiva e un intervento riformatore radicale. Un sistema di reclutamento dei docenti fondato su trasparenza e merito non è solo una scelta etica doverosa, ma prima di tutto un dovere civico che deve impegnare l’intera collettività.

Occorre assicurare all’istruzione, formazione e ricerca i più alti standard qualitativi e non livellarle verso il basso attraverso sistemi di reclutamento fondato non sulla competenza, sulla valutazione comparativa dei titoli e delle pubblicazioni, bensì sullo scambio di favori, dove ogni concorso pubblico appare già scritto e predeterminato nel suo esito. In una parola: una farsa. Ma non è solo una questione etica e una scelta civica. Una istituzione fondamentale quale quella universitaria non può pensare di perpetrare le sue opache regole di gestione in modo da garantire continuità a un potere sottratto a qualsivoglia controllo o verifica di legalità.

La gravità dei fatti denunciati e al vaglio della magistratura in Università come Catania, Firenze, Roma, Chieti, Bologna, Messina e tante altre, pone il problema di una vera e propria emergenza istituzionale e costituzionale. E come tale la questione va affrontata e, con urgenza, risolta. Ne va della dignità e dell’immagine del Paese, ma soprattutto è in gioco il futuro dei giovani e lo sviluppo culturale ed economico della intera nazione. Non vi può essere progresso in alcun campo con un sistema di istruzione e formazione che si fonda sul clientelismo e sul malaffare.

La sistematica negazione di elementari diritti per chi con sacrificio, entusiasmo e passione ha rinunciato a molto nella vita per un ideale fatto di studio, di ricerca, di insegnamento, di sana competizione basata sui risultati scientifici e non su intrallazzi di varia natura, mina alle sue fondamenta principi costituzionalmente riconosciuti, come il diritto al lavoro e alla giustizia.

Ogni genitore che con sacrificio investe, non solo economicamente, in un suo figlio per spingerlo allo studio e alla ricerca scientifica oggi sa che tutto potrebbe essere speso invano, perché in un Paese come il nostro se non si fa parte della schiera dei privilegiati, se non si è affiliati a un gruppo di potere, a nulla serviranno le capacità, le competenze e i brillanti successi conquistati con i propri meriti, o anche all’estero, poiché altri «eletti» e predestinati lo precederanno in qualsiasi concorso universitario gestito come oggi leggiamo nelle sentenze della giustizia amministrativa, nelle inchieste come quella denominata “Università bandita”, nelle segnalazioni che quotidianamente pervengono alla nostra associazione.

Il prezzo che il Paese è costretto a pagare è diventato insostenibile. Il danno non solo di immagine ma anche economico alla comunità è evidente, non solo all’istruzione ma anche alla salute (quando si parla di concorsi dell’area medica), con centinaia di concorsi pubblici per primario o professore in ambito medico dove a vincere non sono i più preparati e competenti, ossia coloro i quali potrebbero garantire al cittadino comune le cure migliori e all’avanguardia, ma coloro che a tavolino vengono prescelti in barba ai curricula e a parametri, che pure a mo’ di beffa vengono elencati in leggi ad hoc e in bandi pubblici, puntualmente aggirati e illecitamente ignorati.

In questi anni, in parte, la magistratura si è attivata su singoli casi ed ha cercato di fare chiarezza, ma pressoché sempre l’Università si è opposta compatta a qualsiasi ingerenza non della politica ma della legge, scegliendo di non dare esecuzione alle statuizioni dei giudici e violando anche qui principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato. Il mondo accademico, nella sua grande maggioranza, ha deciso di comportarsi come un fortino asserragliato, come una torre d’avorio fatta da intoccabili, come una conventicola nella quale è impossibile dialogare e mettersi in discussione.

Questa lettera è un Appello per una Università diversa, fatto nel nome della cultura, dell’istruzione, della legalità, ma è anche un ennesimo grido di denuncia rivolto alle Istituzioni dopo tutte le richieste di aiuto finora rimaste inascoltate.

Oggi è improcrastinabile una risposta e un intervento radicale sul sistema universitario e in particolare su quello del reclutamento da parte della politica. Abbiamo fatto pubblicamente le nostre proposte, insieme ai colleghi di “Osservatorio indipendente sui concorsi universitari”: riduzione dell’autonomia alle università; abolizione dei concorsi locali e attivazione di commissioni nazionali sorteggiate (tra tutti i docenti dei settori, quindi sorteggi veri) allargate ad almeno 5-7 membri; punteggi per titoli e pubblicazioni stabiliti a livello centrale dal Miur e uguali per tutte le classi di concorso (dal dottorato ai concorsi per ordinario) ed obbligo da parte delle commissioni di motivare i punteggi; penalizzazioni in percentuale sui fondi ordinari per gli atenei che si rendono colpevoli di non vigilare con i loro uffici sulle irregolarità (ad esempio il 3-5% in meno per chi propone bandi profilati, per chi non sanziona conflitti di interessi e illogicità di valutazione e non adegua le commissioni alle norme previste dall’Anac); sospensioni e multe pesanti per i commissari che si sono macchiati di irregolarità a livello di giustizia amministrativa o di reati penali ai concorsi.

La legge 240/2010, meglio conosciuta come “Legge Gelmini”, a quasi dieci anni dalla sua promulgazione, se pure ha permesso ai candidati penalizzati ingiustamente di ricorrere alla giustizia amministrativa con più agilità, ha dimostrato più in generale il suo fallimento. Il sistema dell’abilitazione scientifica nazionale, così come quello delle procedure comparative, per come è applicato oggi, ha dimostrato tutta la sua inefficacia: il 96% dei vincitori di concorsi universitari è un interno, pochissimi concorsi con più di 2-3 concorrenti nonostante le migliaia di abilitati scoraggiati dal sistema baronale che li regola, età media troppo elevata della classe docente universitaria.

Un Paese che fonda il suo futuro su una classe docente universitaria selezionata in questo modo da chi viola le leggi è un Paese che non ha futuro!

Per questi motivi oggi siamo qui, in qualità di rappresentanti non dell’Università che emerge dalle intercettazioni della magistratura, che appare profondamente malata – di una malattia che sembra quasi insanabile – ma in rappresentanza di quella parte del corpo docente e ricercatore, che speriamo diventi presto maggioranza, la quale, al contrario, cerca non il riscatto personale ma la creazione di un sistema universitario che si fondi sui principi della legalità, della trasparenza e del merito.

È necessario uno scatto di orgoglio da parte di quella componente seria, buona e onesta del mondo universitario affinché l’istituzione esca dall’ignobile pantano delle inchieste giudiziarie e da un sistema di potere clientelare e autogestito e si affidi invece all’efficienza e al buon andamento imposto dall’art. 97 della nostra Costituzione, per ritornare a dare dignità all’altissimo ruolo istituzionale che il nostro ordinamento affida all’Università e alla sua classe docente.

Noi abbiamo combattuto finora le nostre battaglie in nome di questi principi, ma sappiamo bene che senza un grande movimento di opinione, senza l’aiuto della stampa e dei media, senza l’impegno istituzionale delle alte cariche dello Stato, senza il coinvolgimento di quella parte delle forze politiche che intende, non a parole ma con i fatti, rinnovare e riorganizzare l’università italiana, tutto ciò rimarrà come un grido nel deserto: in tal caso sarebbe l’ennesima occasione sprecata per il futuro dei nostri giovani, di chi crede nello studio, nella preparazione, nella legalità, per migliorare se stessi, la propria condizione di vita, e così facendo la vita e l’immagine dell’intero paese agli
occhi del mondo.

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