Dalle intercettazioni emerse nell'ambito dell'indagine "Università bandita" le parole del Rettore Basile sull'istituzione e il sistema universitario hanno suscitato non poca indignazione.
“Perché poi alla fine qui siamo tutti parenti…alla fine l’Università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, una specie di élite culturale della città, perché fino adesso sono sempre quelle le famiglie.” Non ci sarebbe altro da aggiungere alle parole del Rettore Francesco Basile, estrapolate da una intercettazione nell’ambito dell’indagine “Università Bandita”.
E non a caso è stato dato questo nome all’indagine, perché il piano di Basile e dell’ex rettore Pignataro, così come di altri docenti coinvolti, era proprio quello di bandire concorsi cuciti su misura per i candidati da loro prescelti. Concorsi banditi si può dire “ad personam”, tanto che tra di loro, nelle spesso animate e colorite intercettazioni, i concorsi assumevano il cognome del candidato stesso che essi avevano designato per la vittoria. Così facendo, attraverso un modus operandi diffuso, avrebbero voluto rendere l’Università un luogo chiuso, un luogo per pochi eletti, parenti o “figli di qualcuno”, bandendo (nel senso di mettere fuori) chiunque, seppur meritevole, non facesse parte della loro stretta cerchia di prescelti.
Questo “squallido sistema” clientelare (così è stato definito dal Procuratore Zuccaro) che si reggeva, secondo le indagini, sulla base di una fitta rete di scambi e favori, vede ancora una volta sconfitti gli studenti e tutti quei professionisti, che si sono visti negare un posto da docente o da ricercatore. D’altronde, non è mica la prima volta che succede una cosa simile. Celebre tanto per citare un caso di concorsi truccati sempre relativo all’Università di Catania è il caso Scirè, così come il più recente caso Cavallo.
Questa volta però ben 27 casi di concorsi truccati sono usciti dal Vaso di Pandora custodito in Rettorato. Una volta aperto il coperchio, l’imperativo degli inquirenti nel corso delle indagini durate oltre tre anni, è stato quello di andare a fondo e portare alla luce questo sistema di “nefandezze”.
“Che la cultura debba soggiacere al potere: è questa la cosa più desolante – ha affermato il Procuratore Zuccaro. Il mondo della cultura non può soffrire l’adozione di sistemi clientelari non basati sul merito. Se neanche l’Ateneo catanese si sottrae a queste logiche, è evidente che la necessità per l’Università di ripartire daccapo è molto molto più profonda”.
Se desideriamo un futuro migliore per il nostro Paese, così come per la nostra Isola e per la nostra città non possiamo arrenderci a pensare come quelli che dicono “è così che funziona: questo è il sistema universitario.”
Oggi, più che mai trasparenza, legalità e meritocrazia sembrano aggettivi lontani anni luce dal sistema universitario, ma non per questo possiamo accettare che un luogo pubblico e di cultura possa esserci negato in nome di interessi personali. Anzi, è proprio da questa desolazione che si può e si deve ripartire. Con più indignazione e caparbietà di prima, da parte di chi si è visto, si vede, o si vedrà in futuro escludere ingiustamente da quel bel laboratorio formativo di cervelli e di persone (oneste) che dovrebbe essere l’Università.
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