Esistono in siciliano tantissimi modi di dire, espressioni e proverbi che sono intraducibili nella lingua italiana. Stai accùra, amuninni, camurrìa sono solo alcuni esempi che dimostrano come il dialetto alle volte può un mezzo comunicativo di gran lunga più potente ed efficace.
Parlare il siciliano non è più comune come lo era una volta. Eppure, molti termini, modi di dire ed espressioni di questa lingua regionale (così è definita dall’Unesco) , sono oggi conosciuti e utilizzati da tutte le generazioni di siciliani. Nonostante la lingua siciliana venga spesso svilita come elemento di una cultura bassa, essa conserva ancora un grande potere comunicativo. È per tale che ragione che ancora oggi, anche i giovani non possono fare a meno di usare determinati termini propri della lingua siciliana per esprimere alcuni concetti.
Esistono, infatti, nella lingua siciliana diverse parole e espressioni, quotidianamente usate, che sono difficilmente traducibili in italiano. Talvolta, talmente siamo abituati ad usarle che non ci rendiamo neanche conto che si tratta di termini non appartenenti all’italiano. Raccogliere tutti detti, espressioni e modi di dire siciliani sarebbe impossibile, ma certamente ce ne sono alcuni che per la loro diffusione, la loro unicità e potenza comunicativa, meritano di essere menzionati. Ecco 10 esempi di parole e modi di dire siciliani che non possono essere tradotti in italiano:
Camurrìa è uno dei termini che meno si presta ad una traduzione in italiano. Il termine potrebbe essere generalmente tradotto con “seccatura”. Tuttavia, “Chi camurrìa” o “Sì ‘na camurrìa” sono espressioni utilizzate per fare riferimento ad un tipo di seccatura o di fastidio insistente e reiterato nel tempo da parte di persone per l’appunto “camurriuse”.
Letteralmente “peri peri” significa “piedi piedi”. In Sicilia, specialmente a Catania non usa “andare in giro”(traduzione) ma si usa “iri peri peri”.
Annacarsi è un verbo traducibile in italiano con “muoversi”. Tuttavia, quando in Sicilia si usa l’espressione imperativa “T’annachi”, la forza esortativa non è minimamente paragonabile a quella del corrispondente “Muoviti!” in italiano.
Questo termine è probabilmente usato solo nel Catanese. Nel corso di una discussione l’esclamazione “avaia” può essere tradotta con “ma và”, “suvvia“, “dai”, ma con il triplo dell’enfasi.
Il verbo “arriminari” significa “rimescolare”. Tuttavia, l’equivalente verbo in italiano non potrebbe mai essere utilizzato da una nonna siciliana che esorta il nipote con “Arrimina a pasta!”; e non sarebbe una giocata a tombola siciliana se i giocatori non esclamassero in coro “Arrimina” per esortare colui che chiama i numeri a rimescolare per la busta per cambiare la sfortunata sorte.
L’espressione siciliana “Stai accùra” è un modo unico per dire “Fai attenzione”, nella parola “accùra” si racchiude tutta la preoccupazione, la paura e l’apprensione per qualcuno.
Letteralmente significa “colui che vuole essere coccolato”: con questo termine in siciliano si è soliti riferirsi a bambini o ragazzi capricciosi.
Nelle cucine siciliane non esiste lo “strofinaccio” esiste la “mappina”. Con questo termine, infatti, quotidianamente si usa indicare le tovagliette da cucina usate per asciugare mani e ripiani.
Questo è uno tra i più famosi e diffusi modi di dire siciliani. Letteralmente si traduce con “Dove gli piove gli scivola”. Con tale termine si fa riferimento ad una persona a cui va sempre tutto bene e che non si preoccupa di ciò che succede.
Questa è una delle espressioni esortative più tipicamente siciliane. “Amuninni” significa letteralmente “Andiamo!”, ma l’espressione siciliana ha in sé una connotazione molto più forte, talvolta simile ad un rimprovero.
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